mercoledì 22 luglio 2015

Di cose che non si possono tacere.

Sette anni fa, nel lontano 2008, una ragazza allora ventitreenne fu violentata da un gruppo di uomini (tutti italiani, in questo caso l'Internet di Salvini non funziona) a Firenze.
Fu uno stupro di gruppo.
A presente, anno 2015, la Corte D'Appello di Firenze ha dichiarato gli stupratori innocenti.
Sono state addotte motivazioni come la giovane fosse capace di intendere e di volere sebbene avesse bevuto e che in tutta la sua vita avesse avuto due rapporti occasionali, di cui uno con una donna.
Già in primo grado la pena per gli stupratori era stata praticamente uno scherzo, e adesso la povera ragazza ha visto il suo tentativo di avere giustizia crollare.
C'è ancora la Cassazione, direte voi, ma come può sentirsi una ragazza che è stata giudicata laddove era solo la vittima?

Non esistono scuse che possano giustificare uno stupro.
Né l'abbigliamento, né l'orientamento sessuale o qualsiasi cosa vi venga in mente.
Nulla.
Mai.
In nessuna circostanza.

Viviamo in un mondo in cui una donna non può camminare per strada senza sentirsi fare battutine lascive, dove non può camminare da sola di notte a piedi, dove pare che sia necessario fare obbligatoriamente un corso di autodifesa per scongiurare ogni tentativo di stupro e non dove si dovrebbe insegnare a non stuprare.

E io ci metto la faccia, dico la mia.
Non è giusto. Questa non è giustizia.
E questo non è modo di vivere.
Non esiste giustificare uno stupro.



domenica 19 luglio 2015

Chiacchierando di "Donne che amano troppo". Recensione libro.

Avevo detto tanto tempo fa che sarebbe passato parecchio tempo prima di imbattermi nella lettura di un altro libro che appartiene alla categoria (spesso definire il genere di un libro è la cosa più difficile che può capitare di dover fare. Perché dare una definizione, poi? Per comodità? Non so, nel mio caso è perché desidero inquadrare tutto ciò che mi capita sotto tiro) di libri di auto-aiuto.
L'unico che lessi mi lasciò senza parole e non perché non ne avessi, ma perché erano una sfilza di parolacce giacché a mio dire non dava delle dritte effettive al problema che si poneva di analizzare per poi dare delle piccole strategie per risolvere le cose.
Si trattava di un libro che analizzava la rabbia e come combatterla; se io l'ho defenestrato con una serie di belle parole non è che sia stato un granché a mio dire, ma se ne potrebbe parlare (il libro l'ho ancora qui, e potrei essere masochista al punto di rileggerlo per poi recensirlo).
Quello di cui vorrei parlare oggi è Donne che amano troppo di Robin Norwood, edito da Feltrinelli e inglobato nella categoria "saggi".
Anche qui parlerò dell'autrice, della trama (ma direi che è più adatta la parola "argomento"), cercherò di fare una recensione e inserirò quella che per me può essere una canzone che si avvicina al libro, come chiave di lettura.


L'autrice: Robin Norwood, classe 1945, è una psicoterapeuta statunitense specializzata in terapia della famiglia. Si occupa di problemi delle dipendenze e il suo campo di maggior interesse e operato è sul trattamento del co-alcolismo e sulle dipendenze da relazioni.
Ha scritto e pubblicato Donne che amano troppo, Guarire coi perché, Lettere di donne che amano troppo, Un pensiero al giorno (per donne che amano troppo), in Italia tutti editi da Feltrinelli.

Il consiglio musicale: questa volta scelgo di dire prima la canzone per un dato motivo. Innanzitutto citiamola: è New day coming di Scott Stapp di cui vi allego anche il testo.
Perché ho nominato la canzone prima di parlare del libro? La ragione è semplice. Se non avete mai visto un mio video non sapete che adoro i Creed e amo la voce di Scott Stapp, oltre a trovarlo un bravissimo paroliere e ve lo dico (o ridico) adesso. Egli, avendo avuto dei problemi, ha scritto canzoni che parlavano della sua rinascita, del suo star meglio dopo tanto soffrire e le parole e la musica sono davvero belle secondo me, si sposano perfettamente con quello che voleva esprimere. In questo caso in particolare il messaggio del nuovo giorno e dell'alba della serenità che si trova dopo un processo formativo è ciò che la canzone ci vuole far capire, così come il libro.
Un'altra motivazione la adduco riportandovi alla memoria o facendovi conoscere uno dei miei libri preferiti che ho recensito tempo fa. Si tratta de La principessa che credeva nelle favole di Marcia Grad Powers.
In un certo senso il libro di cui vi voglio parlare e questo che vi ho già presentato sono collegati tra loro e anche lì vi avevo proposto una canzone di Scott; la mia scelta dunque non è affatto casuale, ma ho cercato di stabilire un legame con il libro precedente. Nel caso in cui siate curiosi di sapere di cosa stia parlando, vi ho lasciato il link.

La trama/argomento trattato: Robin Norwood, portando degli esempi pratici legati alla sua esperienza di psicoterapeuta e quindi presentandoci le storie di alcuni suoi pazienti (in particolare donne), desidera analizzare quella che definisce "malattia dell'amare troppo", ovvero quello stato d'animo che non permette a una persona di liberarsi del partner pur sapendo che non è la persona giusta per il loro benessere e per avere una relazione sana continuando quindi a distruggere la propria vita.
Si propone di analizzare il perché si instaurano queste relazioni malsane, che recano solo sofferenza, i meccanismi che albergano nell'animo di chi ama troppo (la speranza che il partner cambi, l'assuefazione da questa persona, ecc) e dare un input per poterne uscire.
Questo, come dice lei stessa, è anche un libro che può illustrare al lettore se si riconosce in uno dei "sintomi" dell'amare troppo e quindi correre ai ripari prima che la situazione si complichi oppure cercare di capire qualcosa da evitare con tutto se stessi.

La recensione: inizio col dire di esser stata molto fortunata nella mia vita, perché ho capito di aver avuto anche io la malattia dell'amare troppo senza però ricorrere all'aiuto di uno psicologo.
Non perché sia sbagliato per me chiedere aiuto, anzi, sono la prima a dire che quando non si riesce da soli bisogna tendere una mano e chiedere aiuto a chi può aiutarci davvero, ma mi è capitato di farcela per conto mio sebbene avessi già preso contatti con una psicologa e non escludo di poter andarci più in là per quella che io chiamo fase due.
Come dice anche l'autrice, è una cosa del tutto possibile, ma non frequente e ritengo di esserci riuscita perché la mia situazione non era così grave come le donne che ci presenta la Norwood.
Leggendo di loro mi si è davvero stretto il cuore e ho iniziato a chiedermi alcune cose, di cui vi parlerò dopo.

Conosceremo Jill, Trudi, Chloe, Mary Jane, Lisa, come anche Tom, Charles, Burt, Russell e altre donne e uomini che hanno deciso di chiedere aiuto.
Dalle loro parole si riesce a capire che si ama troppo se ci si prende la colpa di tutto, se si tenta di giustificare ogni malumore e cattiverie dell'altra persona, quando si pensa che sia proprio colpa nostra se l'altro si comporta male nei nostri confronti visto che si pensa di non essere troppo attraenti, sufficientemente capaci, mai abbastanza.
In nulla.
Ovviamente questo non è vero amore, ma si resta ingabbiati in una situazione dalla quale pare che non si riesca mai a fuggire, per ricominciare lontano da chi ci ha fatto del male.

Robin Norwood riesce a essere molto chiara e semplice, per far capire ciò che desidera dire, usa un tono molto colloquiale e riportando le testimonianze e le parole dei suoi pazienti è come se un po' li conoscessimo anche noi e potremmo immedesimarci in quello che dicono.
Il tutto è molto discorsivo e la procedura di analisi viene spiegata proprio in modo che si capisca bene.

Personalmente io mi sono chiesta come molte delle pazienti non riuscissero a dire basta a quelle "relazioni" con tutto che erano riuscite a capire che la cosa non andava e che il comportamento del partner peggiorava.
Non voglio dire di essere migliore di queste donne, però potrebbe capitare di dire "eh, ma allora sei proprio cretina a continuare a starci", sono spesso delle situazioni molto gravi e trovo di mio difficile non notare il disagio interiore in quelle relazioni, ma so bene che loro non erano me come io non ero loro e non sono stata nei loro panni.
Suppongo sia dovuto al fatto che essendoci arrivata da sola, come quando vi parlavo del libro della Grad Powers, leggendo il libro abbia di nuovo pensato "grazie, non mi dici nulla di nuovo" oppure forse al fatto che abbia una soglia di tolleranza molto bassa e tenda a reagire subito se mi si fa del male. Sono solo ipotesi per spiegarmi meglio, ribadisco che non mi ergo su nessun piedistallo, che sia chiaro.

Questa malattia del troppo amore porta a giustificare qualsiasi comportamento negativo del partner e si pensa che con la forza dell'amore, del nostro amore, la persona possa cambiare. Non c'è nulla di più errato e la colpa non è nostra, come spiega la Norwood.

E allora cosa fare?
Nulla, assolutamente nulla. La risposta è questa. Non bisogna far nulla per aiutare qualcuno che non desidera essere aiutato.
Questo potrebbe farci pensare di essere egoisti o che gli altri (che non sanno nulla e vedono le cose da fuori) possano vederci così? La risposta è: STICAZZI.
Mi si perdoni il latino aulico, ma è così e nella parte finale del libro la Norwood dà proprio dei consigli e delle direttive per star meglio e tra questi abbiamo proprio il pensare di più a noi al fine di guarire.

Ovviamente il libro non è un sostituto di una terapia psicologica di sostegno, sia chiaro, e l'autrice lo specifica molto bene. La guarigione è una cosa molto importante, ma le maniere per farcela dipendono da persona a persona.
Non bisogna dimenticarlo, mai.

Leggendo questo libro mi sono trovata d'accordissimo con la scrittrice per quel che riguarda i consigli che dà per star meglio e il suo approccio coi pazienti.
Ci sono state però delle cose che mi hanno fatto storcere un poco il naso perché a mio dire non sono effettivamente così, o per meglio dire non per tutte le persone e qui nel libro riportando certi casi come esempi si vuole tentare di dire che le cose invece sono davvero tali, in ogni circostanza, come se il particolare (a livello statistico) diviene il generale. Ve ne riporto alcune.

Vostro onore, sollevo alcune obiezioni!

  • Secondo la Norwood quello di amare troppo è un fenomeno tipicamente femminile e non maschile; ella non asserisce che non ci siano uomini che amano troppo, ma in generale non sviluppano questo sentimento per fattori sia culturali sia biologici. Sinceramente questo mi sembra un discorso un po' troppo superficiale per i miei gusti e anche quando si parla di pazienti di sesso maschile nel libro il titolo del capitolo è Gli uomini delle donne che amano troppo ovvero sono gli uomini che hanno avuto a che fare con donne che amano troppo e, per un motivo o per un altro, o sono stati loro a far andare male la loro relazione o cercavano aiuto per trovare un equilibrio allo stato attuale delle loro vite mentre avevano accanto delle donne che desideravano dar loro una mano non riuscendoci. E qui io mi chiedo quali siano queste motivazioni per le quali gli uomini tendono a non amare troppo oltre a quelli che dice l'autrice come il concentrarsi sul lavoro, gli hobby o lo sport: quali sono questi fattori biologici e culturali? Non ne ho la più pallida idea. E in tutta la sua carriera non ha mai visto un uomo che ama troppo? Sono davvero tutti degli stronzi bastardi? Ovviamente io dico di no, ma leggendo queste pagine ti verrebbe da dire sì, non avendo riscontri opposti.
  • Un'altra cosa che l'autrice afferma è che le donne tendono a trovare noiosi o poco attraenti gli uomini gentili, equilibrati, degni di fiducia che si interessano a loro e coi quali si potrebbe instaurare una sana relazione sentimentale mentre tendono a innamorarsi dei "cattivi ragazzi" che trovano più avventurosi, esuberanti, uomini che poi però le fanno soffrire e le fanno amare troppo. Un momento, Robin Norwood, ti hanno pagato quelle pagine che affermano che esiste la friendzone? Lo sento solo io l'odore della cazzata grossa come una casa?
  • A quanto pare le donne che amano troppo hanno sempre, e ripeto sempre, dei problemi familiari alle spalle e ciò ha permesso loro di sviluppare paure e insicurezze al punto di riversare amore (in modo eccessivo e sbagliato) verso persone che hanno dei problemi che possono ricondursi a quelli vissuti nell'infanzia. Esempio: se una donna ha avuto un padre assente tenderà ad amare uomini che gli ricordano il padre e che non saranno molto presenti nella sua vita. Le mie domande qui sono due. Il fatto di avere avuto un'infanzia travagliata è condizione necessaria e sufficiente perché ciò accada? Non può capitare che una donna (perché ricordiamoci che a quanto pare solo le donne amano troppo in tendenza maggioritaria) che ha vissuto in un clima sereno e gioioso in famiglia possa comunque amare troppo senza un background difficile? Ma è una faccenda seria quella di amare qualcuno che ci ricorda una figura genitoriale e per giunta sbagliata? A me sa tanto di panzana perché penso che chiunque, indipendentemente dal difficile ambiente familiare o meno, possa ritrovarsi ad amare troppo e probabilmente proprio perché le figure genitoriali non sono state le migliori si potrebbe cercare un partner che non lo ricordi proprio né per atteggiamento né per carattere.
E voi cosa ne pensate?

Dando un giudizio globale questa è una lettura interessante, la seconda parte che si propone di dare esempi concreti per stare meglio e cercare un equilibrio è decisamente più appetibile della prima, mentre la prima tende a essere un poco ripetitiva nel definire concetti (come quello che non si tende ad apprezzare un uomo "noioso", lo hai detto una volta, due, alla terza già dico basta!) ed è piacevole la spiegazione e la differenza dell'eros e dell'agape visto dal punto di vista delle donne che amano troppo e come si può e deve conciliare entrambi per vivere un amore sereno e sano dal profilo dei sentimenti, fisico, morale, intellettuale, ecc.
Questa lettura mi ha permesso di pormi delle domande sia a livello personale sia proprio dal punto di vista delle tesi dell'autrice (come le obiezioni che ho citato su oppure delle domande che annotavo mentre si definiva un qualcosa e che per me necessiterebbe ulteriore approfondimento).

mercoledì 15 luglio 2015

Di remake, fan e...

... E l'ultima definizione che volevo dare nel titolo la do con un'immagine, che secondo me è molto più eloquente delle parole stesse:

Esattamente: teste di cazzo.

In questi giorni è uscita la prima immagine del remake del film cult Ghostbusters (che personalmente adoro).



Cosa possiamo notare? Essenzialmente la prima cosa che salta all'occhio è un cast tutto al femminile, ma andiamo con ordine, ci tengo a fare un discorso organico.

Per definizione, i remake sono dei rifacimenti o rielaborazioni di opere già esistenti (il primo che mi viene in mente è Scent of a woman di Martin Brest che è il remake di Profumo di donna di Dino Risi), mentre si chiamano adattamenti se il mezzo di comunicazione varia.

Con reboot si intende un film che interrompe l'ideale continuità di una saga, azzerandone lo sviluppo fino a quel momento e riprendendola dall'inizio definendone una nuova versione ab ovo.

Ammetto tranquillamente che a me spesso e volentieri i remake non piacciono, perché il tutto si riduce a essere un'imitazione sterile, stupida e spesso parodica del film che si desidera rifare, oltre ovviamente a essere una trovata commerciale nonché sintomo di assenza di idee nuove e originali.

Quando vedo un remake, a parte vederlo sempre dopo tantissimo tempo per far passare la "febbre" in questo caso della nuova uscita al cinema (della mia definizione di febbre ne ho parlato qui) non mi aspetto mai nulla di speciale perché so che inizierei a muovere critiche a destra e manca, cosa che faccio, perché amo il cinema.
Però proprio quando non ho voglia di pensare e di far passare il tempo se non ho niente da leggere o non posso scrivere ecco che metto su un remake per il semplice intrattenimento. Proprio ieri sera, per esempio, ho visto "Aspirante vedovo", quello con Lucianina e Fabio De Luigi e rispetto all'originale con Franca Valeri e Alberto Sordi... lo lascio dire alla Regina.


Da questo si nota come io e i remake non andiamo d'accordo e se muovo delle critiche è semplicemente dovuto al fatto che io amo il canon.

Si vociferava tempo fa di girare un nuovo film di Spiderman con un Peter Parker di colore. Bene, Peter nel canon non è di colore, uno Spidey di etnia latina con origini afroamericane lo abbiamo nell'Ultimate ed è Miles Morales.
Perché rendere Peter di colore se non lo è? Sarebbe come rendere bianco Kyle Jinadu, il marito di Northstar, tanto per fare un'associazione. Se proprio si vuole un Uomo Ragno di colore, che si dia spazio a Miles che esiste già e non si creassero cose che non stanno né in cielo né in terra (Tauriel, sto parlando di te).
Sono un'amante del canon e i remake solitamente non mi piacciono. Vale anche per i reboot.
Si dice anche che questo sarà un reboot, ma in questo momento non ci interessa.

Perché stai parlando di un remake se non ti piacciono?
La risposta è: per via delle teste di cazzo di cui su.

Ma se ancora non esce al cinema cosa si può aver detto?
Le teste di cazzo non aspettano di giudicare un film quando esce, ma giudicano direttamente da una foto.


Io, Barbara, come ho già detto, dei remake/reboot non me ne faccio nulla, ma tornando alla foto ho detto che come si può notare le Acchiappafantasmi sono donne.

E questo ha scatenato il caos più nero.

Ti hanno preso in parola, generale Maximus!

A me fa girare già l'idea di remake in sé, figuratevi come sono contenta dell'ennesimo remake da vedere al cinema.
Questo però non mi autorizza e permette di dire e fare battute sessiste sulle attrici e sul fatto che i personaggi sono donne senza nemmeno aver visto il film. Un attore lo si giudica per le sue capacità interpretative e siccome il film ancora non esce questo non è possibile farlo. E non ne avrei parlato se non avessi notato questo dilagante maschilismo, perché sono coerente coi miei pensieri e con le mie azioni.

Ho fatto degli stamp, che allegherò. Il commento peggiore però non sono riuscito a salvarlo, lo lessi di sfuggita dal cellulare che non fa screenshot. E mi è entrato nella pelle come un chiodo arrugginito.

Sarei tentata di non cancellare i nomi dei soggetti, ma non si sa mai; potreste comunque trovare in giro i commenti senza problemi perché sono su pagine pubbliche e la legge sulla privacy non considera violazione se i commenti sono reperibili online pubblicamente.


E questa da dove l'hai letta, dal manuale dei luoghi comuni? O dalle barzellette di Pierino?

Da notare come l'admin (o uno degli admin della pagina) abbia anche approvato il commento. Questo è un chiaro esempio di luogo comune sulle donne viste come frivole se si parla del loro abbigliamento e gelose/invidiose se un'altra donna ha lo stesso vestito/accessorio.

Ma no, continuiamo a dire che non è sessismo, ma certo!

Ammazza, che fantasia!

Un attimo, vediamo come erano gli acchiappafantasmi originali, se non sbaglio c'erano Clooney (che a me manco piace, per dire) e Pitt nel cast, controlliamo:

Oh, no, mi sono sbagliata! *inserire sarcasmo*

Ritengo che gran parte delle reazioni negative è dovuto all'immaginario comune di voler vedere le acchiappafantasmi come quattro fighe che acchiappano i fantasmi con i pantaloncini a girotopa e le tette di fuori, laddove qui abbiamo delle donne normalissime, come quelle che vediamo tutti i giorni per strada.
E infatti...

Avevate qualche dubbio? Io nessuno.

Se si parla dell'aspetto di un attore essendo la bellezza soggettiva spesso si piscia fuori dal vaso perché si tende a spacciare per oggettività la soggettività. Quindi una donna brutta per qualcuno può essere bella per me o viceversa.

Le attrici sono comiche e quindi dotate di verve comica, come prima cosa dovrebbero saper far ridere e la comicità esula dall'aspetto fisico.
Si può essere belli e saper far ridere, si può non essere belli e saper far ridere, si può essere brutti e non si sa nemmeno far ridere, capita.

Se però avessimo avuto quattro nuovi acchiappafantasmi di sesso maschile che non sono Jackman, Pitt, Depp (per dire uomini considerati belli) non si sarebbe detto "sono brutti" perché si sarebbe pensato "tanto devono far ridere, chissene se sono brutti".
Perché uomini. Perché gli uomini non belli, ma che sanno far ridere restano comunque nel pensiero dominante maschilista come affascinanti.
Sono le donne che se non sono belle non sono e non valgono un cazzo secondo la mentalità maschilista.
Se un'attrice è bella, ma il mio comodino recita meglio di lei va bene, se è brutta ma sa recitare non va bene.

Vi è mai capitato di assistere o fare una conversazione del tipo:

«Hai visto quella ragazza? È davvero brutta!»
«Beh, almeno è simpatica.»

O di questo tipo:

«Non capisco che ci trovino in quell'uomo, è così brutto!»
«A dire la verità è molto simpatico, questo lo rende affascinante.»

Nel primo caso pare che la simpatia della donna debba necessariamente compensare il fatto che sia brutta – per chi poi, solo per gli interlocutori – e la sua simpatia è solo un misero contentino rispetto a qualcosa che viene considerato più importante: la bellezza.
Nel secondo caso... si capisce, suvvia. L'ho detto poco più su. E tutto ciò è sbagliato.

Si passa poi però a dire che non si può effemminare tutto. Che vorrà dire questo soggetto con "effemminare" io lo devo ancora capire.

La classica frase con il "non vorrei"/"non sono" + "ma", costrutto molto in voga per dire che non sei così, ma obietti qualcosa. I nomi di persona in maiuscolo sono un optional.

Una ragazza ha commentato questo post dicendo che non si vedranno mica gli acchiappafantasmi coi tacchi a spillo, con le tute rosa e che lanciano urletti (sottolineando bene alcuni degli stereotipi sulle donne) e ha continuato dicendo che non c'è nulla di male nel vedere comunque delle acchiappafantasmi perché bisogna smetterla di vedere l'essere donna come un'offesa, cosa che nei commenti traspare molto.
Parlando di caratterizzazione dei personaggi, gli acchiappafantasmi originali erano attori comici del Saturday Night Live e anche le acchiappafantasmi lo sono, quindi una coerenza di fondo c'è e se sono dotate di verve comica (cosa che hanno perché altrimenti mica ti esibisci al SNL), se la sceneggiatura (che non conosciamo visto che il film ancora non è nelle sale, ribadiamolo) è buona, sicuramente la loro comicità trasparirà e non saranno dei personaggi piatti e poco credibili.

Noterete che pur non apprezzando i remake, io non sputo merda senza aver visto il prodotto e una foto non è nulla per poter giudicare.
Alla ragazza è stato rimbeccato però questo:


La ragazza non ha detto che tutte le donne volevano un remake con delle attrici, non ha detto nulla del genere, ma ha solo ribadito che per lei non c'è nulla di male, perché anche le donne possono interpretare ruoli maschili al cinema. Ovviamente è bello distorcere le cose.

Sono commenti come quelli di questo tizio a offendere le donne, invece. Probabilmente sarà un altro frustrato che quando viene rifiutato urla alla friendzone. Ma non diciamolo in giro, perché, pore stelle, non si possono rifutare i "nice guys". Gli stessi che poi dicono "troia, non me l'hai data e meriti lo stupro".

Nel mio dialetto "pisciaturi" oltre al vaso da notte vuol dire "coglioni".

Dalla foto però sono stati fatti altri commenti e anche le donne non sono state da meno.


Scusatemi, ma le tute degli acchiappafantasmi originali sono state scelte da Carla ed Enzo oppure sono simili a quelle che hanno le acchiappafantasmi?
Se sembrano delle benzinaie anche loro al tempo sembravano tali.
Ma ci si è mai lamentati di loro? Che io sappia no. Delle ragazze sì.

Ho fatto vedere loro gli e le acchiappafantasmi e per le loro tute il giudizio è unanime e si legge dai loro volti.

Ma andiamo avanti.

Questo tipo era sul set e ha già espresso ciò che i personaggi saranno.

Tanto per essere corretti, i cliché se vengono ben interpretati possono essere anche gradevoli da vedere, sta a come vengono utilizzati.
Il peso delle parole invece fa la differenza e in questi post abbiamo anche le critiche anche sul colore della pelle e sulla fisicità delle attrici.
I miei complimenti.
Il commento che non sono riuscita a screenshottare e che non ho più trovato vedeva l'immagine di un gorilla al confronto di quella di Cécile Kyenge con tanto di "non me ne voglia la Kyenge".
Siamo anche arrivati al razzismo!

Non venitemi a dire che il femminismo non serve, non osate farlo, perché il disagio è tanto e tale.

Se questi hanno il diritto di dire stronzate, io ho il diritto di farli fuori, perché così si evita la sovrappopolazione.

Dire che sembrano benzinaie laddove hanno un costume di scena è sessista perché se non lo pensi degli acchiappafantasmi originali non devi farlo per loro.
Dire che si scanneranno tra loro perché hanno lo stesso vestito è maschilista e non vale la tiritera "fatti una risata".
Dire "se erano delle gnocche me lo vedevo" è maschilista perché fanno capire che il mondo secondo loro gira attorno al loro cazzo che si sente di definire la donna come pezzo di carne sessualmente appetibile.
Associare una foto di un gorilla all'attrice di colore dicendo "non me ne voglia la Kyenge", che è stata vittima di episodi razzisti, è essere razzisti.

Questo è essere ignoranti e stronzi e non c'entra nulla col film.

sabato 11 luglio 2015

Il segnalibro di Fenice.

Sempre grazie a Sofia, ecco il segnalibro del blog, con i miei contatti.




Io amo i segnalibri e giacché amo leggere mi è sempre piaciuta l'idea di averne uno tutto mio per così dire.
La prossima settimana andrò in copisteria e me ne farò stampare alcuni e se mi capitasse di incontrare qualcuno a cui possa piacere o lo volesse... ne darò uno o più di uno ben volentieri!

venerdì 10 luglio 2015

Di donne che aprono i libri, le gambe e/o tutti e due.

Eccoci di nuovo qui.
Credo che il voler scrivere titoli con il "di" iniziale che ricalca il complemento di argomento latino mi stia sfuggendo di mano. Però mi piace tantissimo, non posso farci niente.

Dopo l'ennesimo sproloquio, passo subito a illustrarvi una faccenda di un po' di tempo fa, ma che comunque è sempre attuale perché purtroppo la situazione non è cambiata affatto.

Tanti sono gli stereotipi sessisti verso le donne e questo... parla da solo.



Da dove posso iniziare, dalle varie parolacce che mi vengono in mente?

"Aspetta che me fermo un attimo, aspetta che me fermo un secondo, eh!"
Il santo Germano esprime bene ciò che voglio dire. 

Mi chiedo: è davvero possibile che si possa pensare che se "apri le gambe" inevitabilmente sei una povera stupida, scema e col cervello chiuso nonché piccolo come una noce?

Vien da sé che chi ha il cervello chiuso è chi lo pensa.

La dicotomia donna che apre le gambe (da leggere che vive liberamente la propria sessualità) uguale stupida ignorante contro la donna che legge uguale casta e pura è quanto di più idiota io abbia mai sentito e letto.

C'è davvero qualcuno che pensa che questo sia vero?

 Hai detto tutto tu e hai ragione.

Quello che la gente non sa è che si può essere donne che amano leggere, acculturarsi e altro anche vivendo la propria vita sessuale come più ci aggrada.

Sì, ho detto ci.

Io mi trucco, mi curo, amo le gonne corte, le parigine, le magliette scollate che mi valorizzano e mi piace il sesso, detto senza tanti giri di parole, e mi piace anche farlo da sola. 

Oh, non dovevo dirlo?

 
Yotobi ha permesso di creare il meme del secolo (?)  

Non mi pare di essere però un'ignorantona o che altro.
Uno dei tre nomi del nick che uso anche qui, per la precisione Aspasia, rimanda alla famosa Aspasia di Mileto, che fu la compagna di Pericle e che viene erroneamente vista come etera, forse perché non erano legalmente sposati o perché Pericle ripudiò la moglie per lei (ed ecco che viene vista come zoccola, e già), era una donna colta, intelligente, esperta di politica e di retorica che pareva insegnasse anche.

Essere sessualmente libere di agire come si vuole (e per quanto mi riguarda, nel rispetto del mio corpo e in modo del tutto sano e sicuro dal punto di vista della contraccezione e della prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili) non preclude il fatto di non amare la lettura, la cultura, qualsiasi forma d'arte.
Non ti aspetteresti invece certi commenti sessisti da chi si professa lettore.
La lettura dovrebbe promuovere e far sviluppare un pensiero libero e indipendente, una mentalità aperta e non restare fermi e impuntati su concezioni inconcepibili oltre che ignoranti.

Si sfogliano solo pagine a caso oppure si interiorizza la lettura?
Se si dicono cose del genere... propenderei a sostenere la prima tesi, con mia somma angoscia. 

Potrei asserire che aprire i libri porta menti aperte e anche gambe aperte.

L'emblema della donna bella e svampita per eccellenza (con l'aggiunta di essere anche bionda), Marilyn Monroe, amava leggere. Lo avreste mai detto? 
Ma no, una gnoccona che legge non esiste nel mondo, leggono solo le racchie.

 
Lei odiava che la si vedesse bella e per questo stupida.



Si può anche leggere in intimo, sapete? Questa bellissima foto con Bettie Page lo mostra.

Volendo, si può leggere anche nude, nessuno lo vieta. 

Jonathan Franzen dichiarava che “non c’è niente di più sexy di una donna che legge” e le donne possono essere delle lettrici e consapevoli anche del loro fascino, della loro bellezza, della loro carica erotica e possono vivere il sesso in modo libero, senza bigottismi e pensieri trogloditi che vengono da una massa di gente che non è e non deve essere né giudice né giuria né boia.

E, tanto per non farci mancare nulla, visto che si pensa anche che una donna che si trucca è automaticamente stupida...



Questa sono io, truccata, con un vestito aderente (tetteH) e con in mano il libro che a dodici anni mi ha fatto conoscere il mio amore letterario: Philip Roth. Volevo mostrarlo in foto.

Diffondere con orgoglio cose sessiste difendendo modelli di virtù vari ed eventuali che sminuiscono le donne... non è una bella cosa, specie se detti dai "lettori".

La lettura promuove, tra le altre cose, anche la cooperazione e l'unità tra tutti.

E ancora non ci siamo.


giovedì 9 luglio 2015

Di letture e lettori. Quando il giudizio personale viene preso come verità oggettiva facendo figure di...

Sono orgogliosa di essere una fanwriter (nonché shippatrice a oltranza) e seguo delle pagine di scambi di opinioni sui fandom, pagine sarcastiche e satiriche sul mondo del fanwriting e tanto altro.

Alle volte però il disagio è tanto e tale e resto scioccata da quello che leggo.

Amo creare meme con Tina.

Memore di aver detto che esistono lettori intelligenti e lettori stupidi (come dico in questo post) ho trovato ulteriore conferma della cosa e voglio parlarvene.
Ho letto questo post su Facebook e mi si è accapponata la pelle.

Premessa numero uno: chi mi conosce e chi si dovesse apprestare a conoscermi da ciò che dico o recensisco (non dico questo perché reputo tutte le persone idiote, ma perché potrebbe esserci qualcuno che legge il blog per la prima volta, per smentire il fatto che non se lo caca nessuno) sa/deve sapere che Tolkien è uno dei miei scrittori preferiti, ma nonostante ciò so essere molto obiettiva anche parlando di lui.

Premessa numero due: in quello spotted ci sono anche i miei commenti, non ho mai nascosto il mio nome e non mi vergogno o pento di nessuna parola scritta lì sopra. E avrei anche continuato se... ne parlerò più tardi.

Per ogni scrittore e "scrittore" (perché certi non possono esser definiti tali) bisogna capire una cosa molto importante che ho cercato di mettere in risalto in un'immagine fatta con Paint (perché sì, sono incapace con la grafica e lo ammetto).





Questo dovrebbe essere chiaro e ovvio, ma a quanto pare così non è.

Il parere soggettivo è l'opinione che tu dai in merito a qualsiasi cosa ti venga in mente di esprimerti.
Come asserisce il Vocabolario Treccani parlando del lemma "opinione": 

Concetto che una o più persone si formano riguardo a particolari fatti, fenomeni, manifestazioni, quando, mancando un criterio di certezza assoluta per giudicare della loro natura (o delle loro cause, delle loro qualità, ecc.), si propone un’interpretazione personale che si ritiene esatta e a cui si dà perciò il proprio assenso, ammettendo tuttavia la possibilità di ingannarsi nel giudicarla tale.

Vien da sé che l'interpretazione è personale, non oggettiva, del tutto relativa e per nulla assoluta e con un margine di dubbio.
Questo è il caso del famoso: a me è piaciuto/a me piace/a me non piace/a me fa schifo.

Quando si parla di oggettivo la questione è un poco diversa.

Dire che Tolkien non è un bravo scrittore perché a te ha annoiato/non ti sono piaciuti i personaggi/*inserisci motivazione varia ed eventuale* è come dire che non riconosci il valore de I promessi sposi nell'ambito del panorama letterario italiano, quello che significa per il popolo, il motivo per cui è stato scritto, il messaggio che esso dà (sia che tu lo condivida o meno) e le innovazioni che esso ha portato con sé solo perché non ti piace.

Non è un caso che io abbia citato I promessi sposi perché è uno di quei libri che io detesto, ma questo non mi impedisce di essere obiettiva, lontana dalla mia soggettività e dalla variabilità del mio punto di vista, se affermo che questo romanzo ha un grande valore e Manzoni è un bravo (per riprendere la persona dello spotted) scrittore.

Per onestà, una delle mie opere teatrali preferite è l'Adelchi di Manzoni stesso, quindi non ho sullo stomaco lo scrittore o provo astio per lui con tutto che non mi piaccia il suo romanzo storico e sono scevra dalla "malattia" di mescere soggettività e oggettività. 

Non riconoscere i meriti di uno scrittore è un po' da stupidi a mio avviso e, se leggerete il post, ho risposto all'anon palesatosi, per poi arrestarmi davanti alla sua ottusa insistenza nel voler avere ragione laddove ha torto.
Ne consegue che alzai le mani e dissi (senza che il tizio potesse ovviamente udirmi):


Ho volutamente rinunciato a continuare una battaglia persa in partenza. Non ho continuato, era come parlare a un muro e potrete notarlo da voi.
Oggettivamente parlando io riconosco che Tolkien è molto prolisso e dettagliato, il suo stile può risultare abbastanza ostico, come anche il linguaggio usato e tante altre cose, ma non riconoscere che ha creato personaggi di spessore, dire che la trama è banale, che scrive male (ma siamo seri? Non ha scritto lui il famoso "Grande Sennar!", eh. Ecco, nel caso di Licia Troisi il tuo gradimento personale può anche essere positivo, ma nell'oggettività dei fatti le sue "opere"...)...

Togliete il "per me" e usate il plurale.

E tante altre cose.

Leggere una cose del tipo "il fatto che abbia creato lingue fantastiche non mi fa capire perché sia nel pantheon degli scrittori" è una cosa che non sta né in cielo né in terra.
Il fatto che Tolkien, da filologo e appassionato di lingue, ne abbia create di fantastiche è per me un di più, uno dei tanti meriti che nello spotted non gli vengono riconosciuti.
Il fatto che però fosse un filologo attento al dettaglio fino allo spasmo in ogni parola (non quelle inventate, quelle inglesi) che assumono connotazioni particolari se accostate al dato personaggio, però fa presupporre che non è che scriva male, se si vuol far letteralmente riferimento allo "scrivere male" inteso solo al mero modo di scrivere.

 

Se una persona mi dice che le piace la saga di Twilight (scelta non a caso) ma afferma che non è il capolavoro del secolo (e posso affermare a voce alta che esistono delle fanwriter che hanno saputo dare dignità ai personaggi della Meyer più di lei stessa e scrivere fanfiction davvero pregevoli. E.L. James NON sto parlando di te) ha per me molta più stima e considerazione di qualcuno che odia qualcosa o qualcuno al punto tale da avere il giudizio offuscato per riconoscere la qualità di un libro o di uno scrittore.
Roba da pazzi.

mercoledì 8 luglio 2015

Quattro anni su EFP.

Quattro anni fa, nel pomeriggio di questo stesso giorno, mi iscrissi su EFP.
Ricordo ancora che approdai al sito perché avevo trovato una fanart su Dante e c'era il link a una storia che poi ho letto (non senza imprecare per l'orrore di quanto fosse scritta male).
Prima di allora soltanto la mia professoressa di italiano e latino del terzo liceo aveva letto alcuni miei scritti e mai avrei pensato che avrei preso il coraggio a quattro mani decidendo di condividere a mia volta qualcosa sul sito.

Gli anni bui della mia adolescenza e della mia vita scolastica che furono un vero inferno mi resero una ragazza molto insicura.
Mi si era fatto dubitare di me, si era cercato di spezzarmi, di farmi del male... certo, condividere degli scritti che possono essere anche personali non è proprio la genialata del secolo per una persona fragile come lo ero io, però non mi sono mai pentita.
Sono diventata più forte, sono ritornata piano piano a ricordare come fosse quella piccola Barbara che non aveva paura di niente e a vedere che, dopo tutto quello che avevo passato, ero dotata di una nuova forza, ma che non sapevo ancora di avere.

E così eccomi qui. Ancora qui, sebbene avessi pensato di gettare la spugna più volte.

Sono la prima a dire che EFP è come lo specchio del mondo di carta di oggi dove al 95% il successo e il gradimento di uno scritto non è condizione necessaria e sufficiente nonché garanzia di qualità dello stesso (che però incrementa l'ego già smodato di tali utenti), eppure questa piattaforma a me ha dato tanto.
Mi ha permesso non tanto di avere successo a livello globale, ma ho collezionato piccoli successi che sono traguardi importanti per me.

Ho iniziato a interagire con le persone, oltre all'università, dove ho conosciuto dei veri amici a cui importa davvero di me, che se ne fregano del mio passato, e a cui importa davvero di Barbara.
Quella stessa Barbara che è la stessa ora in ogni circostanza, anche sui social, dove spesso regnano la falsità e l'ipocrisia.
Quella stessa Barbara che ora ha talmente tanto coraggio dall'avere un canale su YouTube dove parla delle sue passioni mettendoci la faccia ed essendo sincera fino alla fine.

Grazie a EFP ho conosciuto persone con cui è un piacere parlare, persone che sono diventate mie amiche, persone che dicevano di essere mie amiche e poi si sono rivelate false e meschine al solito (con la differenza che tantissimi anni fa ne soffrivo, adesso sono felice di dire che il vaffa è liberatorio e non mi faccio scrupoli perché so che è meglio perdere persone così, non ho più paura di restare sola e quindi di restare attaccata a persone che mi fanno del male), persone a cui piacciono davvero le mie parole e si emozionano in modo sincero.

Questo è quello che conta di più per me.

Ci sono sempre persone che, nel quotidiano e in varie forme, cercano di demoralizzarmi, attaccarmi laddove io sono sola e gli altri sono in branco, mortificarmi, farmi credere di non essere chissà cosa come persona e che è facile sostituirmi come un oggetto di poco valore e chissà cosa.
Ci saranno sempre, ma adesso sono io a essere cambiata e sono capace di affrontare tutto questo senza versare una lacrima.
Tutto questo è successo a partire da una semplice iscrizione su un sito.

E io sono qui, sotto il nome di Branwen.
Grazie.

sabato 4 luglio 2015

Di malintesi e cose che parevano chiare.

Tempo fa, quando ero ancora dotata di una webcam, avevo girato questo video, in cui parlavo di dieci mie abitudini parlando di libri, per cui adopero l'aggettivo (con un'interpretazione personale) di librosi.

Mi sono però resa conto, con un certo sconcerto in quanto ritenevo di esser stata molto chiara (so bene che le parole possono essere travisate, e io per prima tendo a prestare molta attenzione nel loro utilizzo), che alcuni dei punti sono stati male interpretati.

Cercherò di essere spiegarmi meglio questa volta. Mi scuso in anticipo se il mio tono dovesse scaldarsi, ma è una questione che mi sta molto a cuore; è una di quelle faccende che mi fa salire Orcrist, ma anche Glamdring, Pungolo e tante altre spade (la mia si chiama Germano, Germano Mosconi).

Ho detto che non leggo romanzi rosa, urban fantasy, young adult e new adult perché ho letto un libro per ogni categoria (di quelli rosa ne ho letti tre se conto per uno la trilogia de Il cavaliere d'inverno) e ne sono rimasta delusa. Le ragioni sono le stesse per ogni categoria a parte alcune eccezioni.

Essenzialmente i motivi sono il fatto che la mia visione dell'amore si dissocia totalmente da quello descritto in questi libri, i cliché interpretati sempre nello stesso modo che a lungo andare stufano (perché sì, si possono usare i cliché e renderli anche gradevoli, leggere per credere), le scene di sesso più improponibili di un film porno in stile "casalinghe frustrate e represse" (virgolettato perché uso una definizione di luogo comune, ma non ho nulla contro le casalinghe, specifichiamo anche questo) perché, siamo onesti, il realismo nel sesso qui è presente tanto quanto il biondo nella mia capigliatura, e io sono ramata.

Aggiungo inoltre la presenza pressoché fissa di un triangolo amoroso (noia, noia, noia), che per me è IL MALE. Mi piacerebbe leggere una storia in cui i due contendenti (perché solitamente sono uomini) mandino al diavolo la ragazza indecisa e che cerchino l'amore altrove oppure che lo scoprano tra di loro.
Questo sì che sarebbe originale e soprattutto in linea con la mia considerazione dei sentimenti e delle persone: non si trattano le persone come zerbini, non vi amano? Cercate chi ricambia il sentimento e ciao.

Una cosa che odio di questi scritti è spesso vedere che l'uomo (che pare sempre il duro macho figone di turno, esattamente il tipo che io non cacherei mai di striscio) dice che la donna (l'unica che, guarda caso, lo rende migliore con la forza dell'ammmore, quello con tre m) è "sua" ed è contento se è stata a letto solo con lui mentre lui ha fatto (e spesso continua a fare) il suo porco comodo mentre sono guai per chi getta solo un'occhiata a lei.
Ne avevo già parlato e straparlato e per me questa è una cosa inaccettabile.
Per chi desidera saperne di più... prego.

Cito poi il fatto che ora si parla ad abuso di vampiri e licantropi (chissà perché) e io ne ho le tasche piene, oltre al fatto che si usano canoni e contesti fantasy un poco coi piedi. Io sono una da fantasy vecchia scuola o se vi devono essere contaminazioni che siano fatte bene. Sono di bocca buona parlando di fantasy.

Ho detto anche di non leggere subito libri che hanno vinto dei premi, ma che lascio passare del tempo (anche anni) prima che li compra/prenda in prestito e li legga perché desidero far passare quella che io chiamo la febbre del premio perché quando un libro vince un premio è sulla bocca di tutti e se ne parla troppo, ad nauseam.

Si viene dunque bombardati da troppi pareri (positivi, negativi, indifferenti, spesso da me non richiesti) oltre che dalla tiritera: dài, leggilo anche tu!

Per una che non segue nemmeno una serie TV quando è sulla bocca di tutti, vi aspettate che legga un libro quando quasi tutti lo leggono e ne parlano?

La febbre per me è intesa anche quando un certo libro/film/serie/quello che ci pare è sulla bocca di tutti e lo senti nominare fino allo sfinimento, nolenti o volenti. Soprattutto nolenti.

Non si tratta di voler snobbare qualcosa, ma sono una persona molto coerente con quello che penso, dico e faccio.

Io ho i miei tempi e i miei modi e più mi si invita a leggere qualcosa più io mi rifiuto di farlo, deve essere una mia scelta consapevole e del tutto libera.
Voglio essere libera di scegliere come meglio impiegare il mio tempo dedicato alle letture con i libri che più mi aggradano in quel dato momento, non trovo ci sia nulla di male.

Queste mie parole sono state interpretate come mie affermazioni snob dove io mi voglio necessariamente distinguere dalla massa che legge o i generi che a me non piacciono e su cui (secondo loro) io sputo merda "aggratisse" o che io non leggo nel momento in cui c'è il loro auge.

Voglio appellarmi ai diritti imprescindibili del lettore che Pennac ha definito e stilato.

Ognuno ha il diritto di leggere ciò che vuole, come io ho il diritto di non leggere ciò che non voglio.

Ho letto libri che mi hanno fatto salire l'avversione per questi generi e non desidero leggerne altri e penso sia legittimo; ma non ho mai detto che esistono lettori di serie A o di serie B dalle letture che fanno.

Questa affermazione non è mia, ma è stata letta dalle mie parole. Non dirò mai una cosa del genere.

La mia migliore amica ama Sparks e io ce l'ho sullo stomaco, lei è schieramento Harry Potter mentre io sono della fazione LOTR, ed è la mia migliore amica, andiamo d'accordo, ci confrontiamo persino su questi generi e libri che vicendevolmente apprezziamo e non apprezziamo e non la reputo una lettrice o una persona a me inferiore.

Che Thor mi fulmini se pensassi mai una cosa del genere! 

Posso dire che ci sono solo i lettori intelligenti e quelli stupidi, da intendere con "stupidi" il fatto che la lettura non li arricchisce mica se poi nel quotidiano interpretano a fatti loro parole che non possono essere equivocate.

Leggere non vuol dire aprire un libro e seguire le parole; a mio dire vuol dire anche assimilare i messaggi che un libro ti dà, che ti arricchiscano nella vita, aprendo la tua mente e invitandoti al rispetto dell'altro, cosa che non accade se mi si fanno accuse del genere.

Se mi chiede un parere su un libro che mi ha fatto schifo, è inutile girarci intorno se io sono molto schietta e sincera, perché io dico che è il libro ad avermi fatto schifo (non è maleducato dirlo se è la verità, è più maleducato dire balle), non offendo mica lo scrittore o i lettori che lo hanno apprezzato.

O non mi chiamerei più Barbara.

Grazie a tutti per l'attenzione.

giovedì 2 luglio 2015

Recensione: Il cacciatore di Draghi, di J. R. R. Tolkien

Avevo girato il video di questa recensione, ma il file si è danneggiato e al momento non posso registrare, quindi ho pensato di metterla qui, su "carta"; d'altronde ho un blog (di merda, a quanto dicono alle spalle), ma pur sempre blog è, quindi perché non darmi da fare?

La recensione sarà come quelle a video, quindi segue la scaletta: autore, trama, recensione e consiglio musicale.

Il libro di cui vi parlo è Il cacciatore di draghi, edito da Bompiani e consta di 160 pagine. Le illustrazioni sono di Pauline Baynes e conto di mostrarvene alcune. Per l'edizione del cinquantenario di questo libro l'illustratrice ha anche rappresentato la mappa di Ham.



Autore: se non sapete chi è Tolkien siete delle brutte persone, sappiatelo, quindi non dirò nulla su di lui, perché penso che qualcosina di lui la si sappia per forza, al di là se piaccia o meno come scrittore.

Trama: Aegidius Ahenobarbus Julius Agricola de Hammo (Daenerys dai mille nomi, ritirati in buon ordine ché non hai un nome così "classicheggiante"), in lingua volgare Giles di Ham, è un umile uomo dedito alla vita di campagna (una vita semplice, ma a lui congeniale) che, per uno strano volere del destino si ritrova a essere suo malgrado l'eroe del suo piccolo villaggio per ben due volte, prima affrontando un gigante e poi contro un drago; sebbene costretto dalle circostanze alla fine riesce anche a diventare re.
Non è uno spoiler a mio dire pesante, lo dice anche la seconda di copertina, quindi anche se prendete il libro tra le mani sapete subito di cosa parla.

Recensione: questa storia non appartiene al filone tolkeniano delle avventure ambientate nel mondo di Arda, ma se ne distacca totalmente sebbene per i lettori del Professore alcuni rimandi e allusioni possano risultare lampanti; io per prima ne ho fatti e ve ne parlerò.
La storia di Giles nacque come un racconto che Tolkien narrò ai suoi figli (la stessa cosa fu per un'altra sua storia, Roverandom) e l'edizione aggiornata (quella che ha la copertina che ho messo su, la stessa che io possiedo) presenta a fine racconto anche la prima stesura, grazie alla quale si possono notare sostanziali differenze con la versione definitiva, che è diventata da adulti, come lo scrittore stesso ha affermato.
Vi è anche l'inizio di un ipotetico prosieguo con protagonista il figlio di Giles, ma sono solo poche pagine; Tolkien non ha mai ultimato il progetto.

A tal proposito, come si legge nell'introduzione, l'editore a cui Tolkien sottopose lo scritto lo fece leggere al figlio, che ne fu entusiasta e a me ha sinceramente ricordato Herbert, il figlio del signore a cui Rudy presenta i suoi videogiochi nel film de La carica dei 101.

Ammetto di aver letto prima la versione originale (che è subito dopo quella definitiva) e poi quella per il pubblico adulto. Sono strana, ma ammetto anche questo.
Oltre al tono più da adulti, nella versione definitiva il narratore non si intromette più nella storia, cosa fatta invece nel racconto per i figli, la personalità dei personaggi che prima era semplice poi è stata approfondita, le descrizioni sono state ampliate (quella del gigante che calpesta l'olmo è molto vivida) e poi si ha la prefazione.

Ecco, per la prefazione io farei una piccola parentesi perché merita di esser citata, in quanto a mio dire mostra un lato di Tolkien particolare.
Qui traspare l'intento satirico/umoristico dell'autore.
Tolkien, usando uno stratagemma narrativo, si finge traduttore e curatore di un testo antico che dice di aver trovato, la storia di Giles, e usa la prefazione, che riprende la Historia Regum Britanniae al contrario (anche Goffredo di Monmouth affermò di non essere l'autore della sua opera e di averla trovata, ma se lui disse di voler tradurre in latino una storia molto antica scritta in lingua britanna, Tolkien afferma che il racconto di Giles è in latino e lui desidera tradurla nella lingua moderna del Regno Unito) e in modo diretto perché fa mirati riferimenti, per... burlarsi di quei critici che pensavano al Beowulf solo come documento storico e non come poema che ha piena dignità e meriti letterari.
Tolkien era del secondo avviso.
Infatti nella prefazione di Farmer Giles, il "curatore" afferma sarcasticamente che i lettori della storia che si appresta a tradurre dal latino potrebbero perfino interessarsi al carattere e alle avventure dell'eroe (per citare direttamente) laddove lui invece si era dato molto da fare per dare l'esatta collocazione storica e geografica al racconto.
Ed ecco la presa in giro, e io penso sia divertentissima come cosa. Perché accapigliarsi se si può usare l'ironia e il sarcasmo per affermare il tuo parere se gli altri non la pensano come te e ritengono di aver obbligatoriamente ragione?
Adoro l'ironia di Tolkien: non scende mai nell'offesa, ma fa capire in modo allusivo, e trovo che questo tipo di ironia molto sottile sia molto difficile da rendere sia nello scritto sia nel quotidiano, come persona.

Ci sono molti riferimenti alla storia medioevale, al latino, alla mitologia norrena, ecc. e le note a fine racconto sono molto chiare, esaustive e al contempo semplici.
Non sono però numerate, e questo può essere un bene per chi non ama esser disturbato nella lettura e un male per chi come me preferisce leggerle subito e sapere nell'immediato il rimando se non lo si coglie da soli.
Ma non si può accontentare tutti ed è giusto così.
Ho notato dei piccoli refusi nel numero delle pagine a cui le note fanno riferimento e spero che nella prossima ristampa sistemino questa cosa.

Vengono adoperati degli anacronismi linguistici e di costume (schioppo, patto di non aggressione, lo sconto da applicare a chi paga in contanti) volti a far ridere; la storia è scritta con un tono vivace e narrata con intelligenza e arguzia, il tono è spiritoso.

Sono presenti vari connotati ben miscelati: il fiabesco, nessuna precisa coordinata spazio-temporale (a parte il nome del villaggio), elementi del quotidiano come per esempio i personaggi che hanno le loro rivalità al punto tale da leggere delle loro scaramucce, e Giles e il mugnaio si "scornano" sempre facendo battutine e il riso c'è, fanno ridere.
Sembrano davvero dei popolani che potresti incontrare, sebbene la narrazione sia breve, la caratterizzazione dei personaggi è presente.
Inoltre ti sembra di essere proprio in un piccolo villaggio medioevale perché ci sono dei piccoli, ma importanti dettagli che lo fanno capire come ad esempio lo scandire il tempo usando le festività o parlare dei giorni del mercato.

I nomi sono parlanti, anche con chiari intenti parodici oppure mirati a sottolineare la data caratteristica dei personaggi. Facciamo alcuni esempi.
Abbiamo Giles che ha più nomi, il che ricorda il sistema onomastico romano con tanto di epiteto (Ahenobarbus: dalla barba rossa) e tutti quei nomi, per un popolano, sono superflui perché tutti lo chiamano (e lo chiamerà anche il "curatore") sempre e solo Giles, usando quindi un nome inglese tradizionale e generico per i fattori, un po' come il classico Mario Rossi, per intendersi.
A che pro dare tanti nomi a una persona semplice che tutti chiamano Giles? Semplicemente per far ridere per mezzo dell'iperbole.

 Giles che prepara lo schioppo contro il gigante

Garm, il cane di Giles, è un'allusione al Garmr della mitologia norrena che fa la guardia ai cancelli di Hel e invece questo cane è un pigrone e spaccone che pensa prima a salvare se stesso che non il suo padrone, si procede per contrasto. E poi il suo nome deriva dal gallese "garm" che può significare "rimproverare, vociare rumorosamente", cosa che Garm fa fin troppo.

Garm pronto alla fuga


Chrysophilax Dives, il drago, unisce greco e latino: krysos (oro) e phylax (custode) dal greco e dives (ricco) dal latino.
Con un nome si è definito un drago usando i topoi degli stessi: un accumulatore di ricchezze, che possiede un tesoro ed è dunque ricco (oltre che tirchio).
Per un'amante dell'etimologia e dei significati nascosti come me questo è il paradiso.

Non ha bisogno di presentazioni


Già dai nomi e dalla loro etimologia si può notare un pluriregistro a seconda del personaggio, il re utilizza un linguaggio più altisonante così come il contadino ne usa uno più basso e questo conferisce realismo alla narrazione oltre che a farti scappare un risolino, o anche più di uno.

La parodia si rileva ancora nella vicenda in generale come per esempio nel vedere il fabbro menagramo che getta sentenze sulle persone o con il parroco veggente o ancora con la "vestizione" di Giles quando indossa la sua "armatura" improvvisata; a differenza dei cavalieri nella loro armatura scintillante, lui è goffo, fuori luogo e non puoi non ridere perché sembra proprio che tu abbia la scena davanti a te e Benny Hill ne combina una delle sue.


Giles nella sua armatura improvvisata

I giochi di parole, i doppi sensi, i proverbi adattati per la storia sono particolari ed efficaci e nella traduzione italiana permette di apprezzare le battute.
Tolkien non è mai volgare, non usa mai parole triviali e, per quanto io amo tutti i generi di umorismo e comicità, il suo lo apprezzo tantissimo perché insegna che non è necessario usare sempre e comunque allusioni volgari per far ridere; è una cosa che i grandi sanno fare anche senza.
E lui è un grande.

Come dicevo già prima, per quanto questo non sia un libro ambientato nella Terra di Mezzo ci sono alcuni piccoli rimandi, a partire da Giles stesso, che ricorda Bilbo: una persona tranquilla, che ama la sua terra e non desidera cacciarsi in avventure, godendo della calma del suo focolare domestico.
Anche qui abbiamo una spada che ha un nome ed è dotata di poteri magici, Mordicoda.
E, cosa che a me ha fatto ridere perché mi è venuta in mente la scenetta e cretina ridevo da sola è la definizione di "gente strana" che compare nella storia di Giles; ricorda proprio il vecchio Maggot che dice a Frodo che fuori dalla Contea c'è gente strana e non deve averci a che fare.

Cosa posso dire? Consigliatissimo, sia ai già amanti del Professore sia a chi non si è mai approcciato a lui perché spaventato dalla "mole" o dalla sua "pesantezza" (come spesso si dice) dei suoi libri più noti.
Potrei dire che, per chi non ha ancora provato a conoscere Tolkien, questo libro potrebbe essere il primo con cui iniziare. 
Si legge particolarmente bene, è scorrevole e non è un fantasy propriamente detto, quindi ai non amanti del genere potrebbe far piacere una parodia in chiave fantasy.


Il consiglio musicale per questo libro è Giorgio Mastrota. Per una storia ironica e simpatica non c'è nulla di meglio di una canzone dagli stessi toni, chiaramente parodica.
E poi il cavalier custode dell'acciaio inox ha una bella armatura come Giles!