giovedì 22 dicembre 2016

Meta-pensiero #02

Arrivano dei momenti in cui si tirano le somme e si inizia a parlare di come sia andato l’anno passato; spesso accade proprio negli ultimi giorni di dicembre.
Sono quei momenti in cui definisci le cose belle e le cose brutte che ti sono capitate a livello personale, ma forse è una definizione un po’ riduttiva.
Quello che so in questo momento è che sento di dover fare un “bilancio” e di spiegare alcune faccende.

In questo periodo sono pressoché sparita dai blog (le due piattaforme perfettamente uguali anche nel nome) e penso sia corretto dire il perché di questa decisione.
Se mi leggete ve ne siete accorti, visto che a parte postare di tanto in tanto qualcosa sulla paginetta Facebook non ho fatto molto altro.
La ragione è molto semplice: sono molto demotivata.
Se la famiglia che ho scelto come tale (i miei amici) mi rende felice e il mio cuore è pieno del loro affetto, a livello personale mi sento insoddisfatta di come vanno le cose qui.

Quando ho aperto il blog mi sentivo entusiasta, carica di idee e soprattutto di energia.
Mi sono detta “perché no? Sarà divertente”.
Le idee ci sono ancora, ma col tempo sono scemati il mio entusiasmo e la mia energia.
Quando si scrive qualcosa va da sé che lo si fa dapprima per se stessi, perché si ha qualcosa da dire, perché si sente di voler parlare, ma è anche vero che se hai qualcosa da dire vorresti che qualcuno ti ascoltasse, che si interagisse, che si parlasse su quanto hai affermato... Non nascondo – e mai l’ho fatto – di amare i dialoghi nati dalle osservazioni più disparate, perché possono portare a degli scambi tutto sommato interessanti.
Certo, nel magico mondo del web è molto facile anche incappare nei famosi webeti così definiti da Mentana – ecco, questa parola la voglio inserita nei dizionari! – però esistono anche le teste pensanti, fortunatamente, quindi non tutte le persone sono il male.

Alle volte, però, lo scambio che mi piacerebbe che ci fosse non arriva e qui casca l’asino.  
Molti sono i dubbi che mi assillano al riguardo e tutte le domande che mi sono posta non solo non hanno per ora una risposta, ma hanno contribuito al mio malessere visto che può essere frustrante avere dubbi irrisolti e soprattutto non sapere come migliorarsi.

“Non mi so esprimere?”, “Non sono obiettiva e precisa come vorrei essere e dico di essere?”, “Sono noiosa?”, “Non frega a nessuno di quello che voglio dire?”... queste sono alcune delle domande che mi sono posta e che come un picchio battono nei miei pensieri. Sono andata a vedere “Animali fantastici e dove trovarli” e avevo pensato di dire la mia, ma mi sono bloccata, perché tutti i miei dubbi sono riaffiorati prepotenti, non permettendomi di continuare con quello che sarebbe dovuto essere il post del blog e che è invece rimasto come file nella mia cartella “da completare” (e resta tuttora file incompiuto).

Mi si potrebbe ribattere “ma scrivi su Zona SISMica e su Ultima Pagina, perché dici che le cose vanno male?” e la mia risposta sarebbe questa: il blog è il mio progetto personale, casa mia, quindi sono molto legata a esso e mi spiace che io sia così giù di morale al punto da intristirmi solo pensando a esso.

Per questo motivo ho deciso di staccare, perché se qualcosa non mi rende soddisfatta – e al contempo anche felice – non ha senso che io mi disperi e danni.
Perché la mia priorità resta sempre una: il mio benessere fisico e mentale.
Ho trovato conforto nella lettura che mi ha dato una grande mano e va meglio rispetto a prima, in tutta sincerità.

D’altra parte, non sono una rinunciataria, e so che l’impegno e la perseveranza alla fine ripaga di tutti gli sforzi compiuti, ed essendomi fatta delle promesse voglio portarle avanti fino in fondo, cercando di trovare il modo migliore per stare bene dapprima con me stessa e poi con gli altri.

Ciò vale sia per la me fanwriter (per chi non lo sapesse sono anche una fanwriter) che si pone troppe domande destabilizzanti sia per la me che ha deciso di portare avanti questo progetto di recensioni e pareri.
Se sia i miei personaggi sia le mie idee si meritano il meglio di me (grazie alla mia patatina per avermelo ricordato), non devo dimenticare che lo devo dapprima a me stessa.

Quindi mi prenderò il mio tempo e cercherò di essere al meglio di me anche su queste piattaforme. Perché ci sono altre persone che meritano il meglio di me: voi che mi leggete e che non mi avete fatto mancare supporto e sostegno.

Tornerò, statene pur certi. Non so quando di preciso, ma tornerò.
Nel caso in cui dovessi anche trovare un equilibrio per fare qualcosa con delle cadenze regolari non mancherò di avvisare.
Tutto quello che posso chiedere (e mai pretendere) è di aspettarmi, se vi può far piacere. 
Intanto io vi saluto e vi mando (con alcuni giorni di anticipo) gli auguri di buone feste.
E, come sempre, grazie di cuore.

lunedì 8 agosto 2016

“Regina di fiori e radici”: la gioia di una fangirl, classicista mancata, a medicina

Vorrei iniziare parlando un po’ di me, e quando succede vuol dire che una parte di me è ancora in quel libro e ci resterà sempre. Questo libro è diventato uno di quei libri che rileggo quando sono giù di morale, quando sento il bisogno fisico di essere coccolata e abbracciata dalla magia di un mondo che mi ha fatto emozionare.
Nel caso in cui non ve ne freghi una ceppa vi interessi solo del mio sproloquio sul libro, andate dopo l’immagine e troverete quello che cercate.

Mi sono sempre definita una classicista mancata, e infatti frequentare il liceo linguistico non rientrava tra i miei progetti; la mia scelta era sempre stata chiara – così come lo era quello che voglio diventare – e quindi le mie due opzioni erano il liceo classico o il liceo scientifico. Col liceo classico sentivo una particolare affinità perché mio nonno buonanima, l’uomo che mi ha fatto appassionare alla lettura (e che ha scelto il mio nome: viene da una poesia), con tutto che si era dapprima fermato alla quinta elementare, una volta tornato in Italia perché aveva lavorato all’estero, grazie alle scuole serali è arrivato a diplomarsi. Al liceo classico. Essendo la persona per me più importante ed espressione vivente del “se ti metti con impegno raggiungi qualsiasi risultato”, mi sarebbe piaciuto sentirmi più vicina a lui, anche perché lo avevo perduto da poco.

Per una serie di ragioni – tra cui quella di mia madre che diceva “il liceo di quel paese no perché c’è un giro assurdo di delinquenza” – ecco che mi ritrovai al liceo linguistico. Al di là della classe (il motivo per cui ho odiato i tredici anni di scuola al paesino, erano le persone che mi riportavo dietro dalla prima elementare e dalla prima media), mi sono trovata benissimo parlando dei miei studi; ho imparato un’altra lingua oltre a quelle che conoscevo studiandole assieme al nonno e ho potuto viaggiare all’estero praticamente pagandomi solo le spese personali (in qualche ambito la meritocrazia funzionava) e ho visitato posti che mi hanno rubato il cuore. Per il resto, non vedevo l’ora di andarmene per non vedere quelle facce di culo, e va be’.

Questo però non mi ha impedito di amare con tutta me stessa il latino (lo amo tuttora che sono trapiantata in una facoltà che pare non dare spazio a qualsiasi cosa che rechi scritto sulla fronte “arte”), l’epica classica, la mitologia, il teatro… grazie alla prof di italiano e latino mi sono appassionata anche alla letteratura greca perché quando ci spiegava quella latina faceva i rimandi a quella greca. Mio nonno mi aveva fatto amare i miti greci e quello fu l’inizio della fine. La prof mi regalò un libro di miti greci e il Mammut col corpus delle tragedie greche oltre ad alcuni libri di grammatica di greco. Ho imparato qualcosina da sola e devo dire che già capire l’etimologia delle parole a medicina mi sta servendo alla grandissima.

Mi era stato parlato benissimo di questo libro e io che sono una poveretta che fa spese oculate (e che si fa regalare alle feste sempre e solo gift card) ho dovuto aspettare parecchio prima di comprarlo, ma ne è valsa davvero la pena.
Imbarchiamoci dunque su quanto ho da dire, ma per prima cosa vi lascio il link al blog e alla pagina Facebook della scrittrice, se desiderate conoscerla meglio.



Titolo: Regina di Fiori e Radici
Autore: Laura Mac Lem
Editore: Autopubblicato
Data di Pubblicazione: 2015
Pagine: 264
Formato e Prezzo: ebook €3,99/cartaceo €10,31

Per la trama, questa volta vorrei usare direttamente ciò che abbiamo in quarta di copertina. Qualsiasi altra parola è superflua.

“Quasi nulla di quello che è stato detto riguarda me, nonostante sia la mia storia.
Si è narrato della passione di mio marito, della disperazione di mia madre, della decisione di mio padre. Si è parlato della sofferenza dei mortali e dei riti che da allora vengono compiuti, per far sì che ciò che accadde non debba mai più ripetersi. Si sono narrate storie parallale e storie contrastanti, si ricordano particolari suggestivi, ma di ciò che riguarda me, di ciò che accadde a me, sembra si conosca ben poco.
Eppure è la mia storia.
Non è la storia di Ade, il signore dell’Oltretomba, delle anime dei defunti e di tutto ciò che cresce nel sottosuolo; non è la storia di Demetra, la Madre Terra che errò nel mondo alla ricerca della sua unica figlia, scomparsa nella tenebra di Erebo; e, certamente, non è la storia di Zeus, che permise tutto ciò avvenisse, finché i mortali non gli ricordarono, attraverso la loro mortalità, ciò che doveva fare. In questa storia ci sono anche loro, ma non è la loro storia.
È la mia.
La storia della dea della primavera e regina dell’Averno, contesa tra due mondi, finché la contesa non mi obbligò a compiere la mia scelta.
Quasi nulla si sa di ciò che significò, per tutti. Eppure rese il mondo ciò che è.
Perché io sono regina di fiori e radici.
Io sono Persefone”
.

Il consiglio musicale: Respiro Avido dei Folkstone. Sarebbe troppo banale dire che mi è scattato il rimando sentendo il verso “chiedo alla vita troppo/forse la falce risponderà” pensando ad Ade, e infatti non è questo non è il motivo per cui ho pensato a questa canzone.
Tra quelle parole e quelle note si percepisce una gran forza e la canzone mi appare un inno al coraggio, lo stesso coraggio che Persefone ha e che scopre di avere, perché “fuoco divampa dentro lei” (cambiamo il pronome della canzone): lei non resta “ferma ad aspettare un segno”, ma prende in mano la sua vita, con tutta se stessa. “Dentro profonde oscurità, la vera anima”, e noi leggiamo dell’anima di Persefone, ascoltandola davvero.

La recensione: parto col dire che, sebbene la vicenda sia nota, la scrittrice si è presa la libertà di utilizzare e riadattare la mitologia e il mito stesso a suo piacimento. Non lo nega di certo – cosa che ho tanto apprezzato – e io non vi starò a dire variazioni e invenzioni, perché potrei rovinare la sorpresa della lettura, me ne guardo bene dal farlo. Il mito viene ripreso con fedeltà, ma l’ottica è originale e autentica, davvero pregevole.

La me amante della mitologia ha sempre pensato che i miti e le storie che ci vengono tramandate sono stati concepiti e raccolti secondo la mentalità dominante del tempo e la condizione femminile del tempo è abbastanza palese, non ci giriamo intorno. Quello che però mi ero sempre chiesta, parlando del mito di Ade e Persefone – specie facendo il paragone con Zeus, alias mister-non-so-tenerlo-nelle-brache – è che lui non mi era mai sembrato uno “alla Zeus”, che avesse avuto altra donna se non lei. Persefone era la sua regina, la sua sposa, una donna che è sua pari, quindi per me la storia del rapimento con la conseguente versione dei fatti di Persefone intesa come “povera fanciulla ingenua, ti sei fatta rapire e poi passivamente accetti anche i patti degli dei” non ha mai retto. Certo, il gesto del rapimento c’è stato, ma era il resto che non mi era mai quadrato: troppo semplice, troppo scontato e troppo triste per una donna, insomma.
Ade poi regnava con saggezza e non stava a scocciare gli altri nel mondo dei vivi, stando bellamente alla larga da questa o quella scaramuccia dell’Olimpo e sulla terra, quindi qualcos’altro sotto c’era secondo me.

E con Regina di fiori e radici ho gongolato, perché ho trovato quel tanto altro che mi ero spesso immaginata e a cui per tanti anni ho pensato e che non ha deluso le mie aspettative.

Laura Mac Lem ha dato una caratterizzazione del tutto personale a personaggi più e meno noti della mitologia, e questa personalizzazione li rende tanto umani, con pregi e difetti. Le divinità greche per prime avevano connotati umani e in questo libro non puoi non notare quanto siano davvero vivi e tanto simili a noi.

La me fangirl ha saltellato un pochino nel ritrovarmi un Ercole idiota, segno che forse la mia teoria sulla stupidità – che reputo una malattia sia genetica sia multifattoriale e legata all’ambiente circostante – sia davvero valida, dovevo dirlo; anche dopo aver letto Euripide (leggete la tragedia!), mi è rimasta quest’immagine.
Ho tanto amato l’inserimento di Orfeo e di Euridice, uno di quei miti che mi ha sempre commossa.

Rivivere il mito attraverso gli occhi di Persefone è uno dei punti di forza del romanzo, oltre che di originalità. Lei era il personaggio che nel mito non aveva voce, il personaggio che veniva definito come in balia degli eventi decisi da altri, a cui lei acconsentiva senza poter dire la sua.
Qui, invece, la situazione si ribalta: Persefone pensa, parla, agisce, e noi riusciamo a sentirla appieno. La sua voce, per troppo tempo negata, adesso è presente e viva, e resta impressa, come a volerci far capire che per troppi secoli ha taciuto, ma adesso basta: reclama il suo spazio, e noi ascoltiamo la sua versione dei fatti, mentre io dico “finalmente, non aspettavo altro”.

Con gli anni ho perso l’abitudine a leggere libri narrati in prima persona e quei pochi che ho letto in questi anni più recenti mi hanno sempre lasciato l’amaro in bocca perché uno dei rischi della prima persona è quello di dire tante cose che rimandano alle impressioni del protagonista, ricevendo dettagli che non servono, mentre la trama e gli avvenimenti salienti restano non molto definiti, un po’ come se in una stanza buia si vedessero solo alcune lucine che illuminano dei – non tutti – soprammobili, e tu vorresti orientarti nella stanza, per prima cosa.
In questo caso, invece, la prima persona è perfettamente adatta al contesto, ma non solo, non sfocia in piccolezze inutili, restando quindi ancorati alla vicenda, con un linguaggio particolare – descrittivo ed evocativo al contempo con parole scelte con attenzione – che rievoca il mito e rimanda anche alla nostra epoca, regalandoci una Persefone moderna, una vera protagonista, sia della sua vita sia degli avvenimenti narrati.

L’immagine che si ha di Persefone – almeno all’inizio, come se si volesse dapprima mostrare quella che ci è stata tramandata – è quella di una giovane tenera e dolce, simile a una bambolina, mentre sua madre è solida e forte, così come le sue sorelle, più incisive rispetto a lei. Lei è la ragazza con cui si riesce ad andare d’accordo, il cui carattere porta a mitigare quelli più “tosti”. La sua figura mite e placida si sposa bene con i fiori, con la primavera, il cui tepore e la cui dolcezza riescono a scaldare gli animi delle persone.
Ma Persefone non è solo questo, affatto: ridursi a definirla così sarebbe semplicistico, oltre che errato.

Il titolo parla chiaro: Persefone sa che i fiori per vivere hanno bisogno della luce del sole, ma essi esistono anche nel sottosuolo, laddove le radici dimorano e senza di esse nulla può sbocciare.
Persefone sa cosa fare, non è la ragazzina ingenua che crede a tutto e si lascia trasportare dagli eventi come una canna al vento. È una dea, ed è una donna, che reclama ciò che desidera, con coraggio e volontà. È una testa pensante e non si lascia calpestare da nessuno: ci racconta delle scelte che lei ha compiuto, non delle imposizioni che ha dovuto subire. Nessuno decide per lei, né sua madre, né suo padre, né suo marito. Persefone è la donna – ancor prima di essere dea – che chiede che le si venga attribuita la piena consapevolezza delle sue azioni, perché capace di discernere; nessuno pensa mai a chiedere cosa desideri lei o cosa pensi al riguardo di questo o quello, e Persefone non ci sta. Non desidera affatto adeguarsi alle decisioni prese dagli altri, al di là del fatto se si voglia o meno il suo bene. L’amore che si nutre per le persone care non vuol dire che debba renderci dei burattini nelle loro mani; alla fine Persefone dice basta e lo fa con una forza tale che non puoi non esultare per lei e con lei.

In questa storia abbiamo la crescita di Persefone, una donna che prende coscienza di sé, del proprio potere, del proprio posto nel mondo. È la voce di una donna che si ribella alle imposizioni, una donna che non ha paura di dire la sua – e non vedo perché dovrebbe –, una donna che ci racconta la sua storia in prima persona.

Ade è, l’altro personaggio principale e per molti versi appare l’opposto di Persefone, ma anche di tutti gli altri che vedono la dea come una ragazzina, mentre lui la tratta da adulta. Anche lui, come la sua sposa, tende a essere un personaggio – sebbene sia il dio di uno dei tre regni – il cui parere non venga molto preso in considerazione.
Egli è austero, duro, giusto e implacabile, ma per quanto possa esser dipinto come freddo e distante, ama davvero sua moglie, con tutto che l’abbia rapita.

Non abbiamo una sindrome di Stoccolma, cosa per cui ringrazio con tutta me stessa – ho assistito troppe volte alla lettura di “robe” che tentano di far passare per “ammmore” quello che non lo è –, ma qui abbiamo la resa di un rapporto per nulla facile, che si sviluppa col tempo, fatto di gesti, che sono quelli che più contano in una relazione.
Rendere per bene il tutto non sarà stato facile, considerando il fatto che il rapimento c’è stato, ciò nonostante il sentimento ha messo radici sin da prima di quell’avvenimento, e non ringrazierò mai abbastanza la scrittrice per averci regalato una relazione che necessita del suo tempo per evolvere, così come leggiamo dell’evoluzione di Persefone stessa, che si ritrova a vivere in un regno a lei ignoto, in cui almeno all’inizio si sente come un pesce fuor d’acqua, per poi capire bene la situazione e vivere la relazione col suo sposo, non senza mancare di dire la sua.

Questo libro mi ha dato davvero tanto e non è un caso che ne parli ora, alla terza rilettura – in estate tendo sempre a rileggere libri che amo – perché sentivo la necessità di rituffarmi tra queste pagine che tanto mi hanno coinvolta e accompagnata in un momento in cui mi risulta difficile dire che amo leggere, che amo tutto ciò che è classico, perché – almeno in questo mondo che risulta essere per me la facoltà di medicina – se ami leggere vieni visto non come uno sfigato, ma peggio, come una persona di cui farsi beffe perché “leggere non è importante, non serve a niente”. 

La storia di Persefone raccontata da Laura Mac Lem è uno dei miei memento che mi permette di ricordare che sono io l’unica persona che può scegliere della e sulla mia vita, in piena libertà e consapevolezza e oggi sentivo di unire la mia voce a quella della dea, che non possiamo far altro che dire grazie alla scrittrice.

domenica 7 agosto 2016

“Harry Potter and the Cursed Child”: perché?

*Attenzione: contiene spoiler, che verranno comunque segnalati*

Una premessa è necessaria: non sono una di quelle persone che ama demolire le cose per cattiveria o perché desidera litigare con le persone che invece apprezzano un dato prodotto, e ciò vale anche per questo libro.

Non ho mai fatto mistero del fatto che a me la saga del maghetto non sia piaciuta, ma ammetto che il mio “non gradimento” è diventato col tempo un odio, non per la saga in sé o per la scrittrice (come in molti mi hanno accusata), ma per la fanbase che, per quanto io sia stata sempre educata e composta nel dire perché e percome non mi piacesse, mi ha attaccata selvaggiamente. Tuttora oggi, a quasi venticinque anni, ho paura – sì, avete capito bene, paura, e non sto scherzando – a dire che non ho amato la saga, perché il rispetto della persona che parla può non pervenire affatto e ho subito fin troppi attacchi nella mia vita che mi hanno segnata e ferita, al punto da pensare anni addietro “che senso ha avere un'opinione se poi quando la dici ti fucilano perché devi pensarla per forza come il tuo interlocutore?”. Sicuramente, se non mi fossero capitate queste brutte esperienze, oggi non sarebbe così; va da sé che non sto generalizzando, anche perché ho incontrato fan con cui posso parlare civilmente e ho tra gli amici (anche quelli più fidati) persone che amano la saga, ma le offese e le brutte parole non si cancellano facilmente, e qui viene spontaneo dire che è molto facile essere “Charlì” (scritto così), col culo degli altri, però.

Potreste chiedervi perché allora io sia qui a parlarvene, cosa assai legittima, e vi rispondo con sincerità: la mia curiosità.

Non essere fan di qualcosa non implica il voler scansare tutto a prescindere, ma se si vuole, ci si può avvicinare a qualcosa ed eventualmente dire la propria. Ammetto che la curiosità con me la fa da padrona e leggere e sentire il disappunto dei miei amici mi ha lasciato perplessa, ma è stato soprattutto il modo per farmi dire “non posso saperlo a mia se non leggo e vedo in prima persona di cosa si sta parlando”.

Ed eccomi qui, dopo aver letto la storia e dopo essermi anche informata su qualcosa che avrei potuto non sapere, perché è più forte di me: ci tengo a essere sempre esaustiva.

Cercherò di non fare spoiler, e nel caso dovessi farne perché mi serve per dire qualcosa in particolare lo segnalerò, sebbene ritenga che chiunque abbia letto nei mesi scorsi la trama sappia già quasi tutto, dato che posso dirlo senza problemi: “Everything you've heard? Completely true”, per riprendere una citazione di un personaggio che adoro.

La domanda fondamentale per me è: “perché”?

Sto cercando di trovare serie motivazioni a questa storia, ma non ne riesco a trovare nessuna plausibile. Lo dico perché, col cuore in mano, mi sento tanto vicina ai fan che stanno piangendo sangue sin da quando hanno saputo i primi rumors della storia; adesso che anche io ho avuto modo di toccare con mano il tutto, voglio dire che coerenza, coesione, personaggi, trama e resa complessiva si sono presi per mano e sono andati in vacanza alle Fiji.

Per chi se lo stesse chiedendo: no, non godo affatto di questo orrore, credetemi.

The Cursed Child è una pièce teatrale, quindi ciò che si legge nel volume non è stato concepito per essere un libro e la struttura di botta e risposta lo attesta chiaramente, mentre ci sono le note dei luoghi e dei gesti che i personaggi compiono. Si tratta dunque del copione dello spettacolo che è stato distribuito sotto forma di libro.
A tal proposito, mi sento di dire una cosa: i mezzi – carta e palcoscenico – sono diversi, e sicuramente vedere l'opera a teatro fa un altro effetto, ma non mi pare ci siano i filmati dello spettacolo per poter giudicare direttamente, e non c'è nulla di male nel leggere il copione, farsi un'idea dalla lettura ed eventualmente fare una critica, al di là del fatto se si ha avuto l'occasione di vederlo dal vivo. Si ha il pieno diritto di farlo. Del resto, se non si avesse avuto intenzione di permettere la lettura del copione, non sarebbe stato pubblicato.

Il fatto che X sia un'opera da recitare non pregiudica di per sé la buona riuscita del tutto (e lo dico da amante del teatro: Look back in Anger e Waiting for Godot sono due delle mie pièces – discretamente recenti – preferite), e lungi da me anche solo pensarlo, ma in questo caso, se dovessi essere lapidaria, direi tre semplici parole:

1) “fanservice per fanminkia”;
2) “macchina raccatta quattrini”, se la vogliamo mettere sul piano più venale;
3) “fyccina senza senso”, anche se qui bastava già la prima parola.

Mettiamo assieme le tre definizioni e otteniamo l'espressione più calzante.

Per “fanminkia” intendo quei fan che si esaltano senza notare l'evidenza oggettiva della qualità assente del prodotto, spacciandolo come capolavoro.
Lo dico da una vita: può piacerti qualsiasi cosa, ma il tuo gradimento soggettivo non deve inficiare la verità oggettiva dei fatti al punto da non far vedere quest'ultima. Su questo non posso e voglio transigere.

La Rowling ha affermato che le vicende narrate in The Cursed Child sono canon (per chi non lo sapesse – non vi faccio scemi, ma io non so se chi leggerà questo sproloquio lo sa o meno – vuol dire che gli accaduti di questa o quella storia sono ufficialmente confermati dall'autore) e questo comporta che l'opera è un vero e proprio seguito della saga, quindi che piaccia o meno tutto quello che accade lì è valido come prosecuzione.

Partiamo dalla trama (“perché, ne abbiamo una?” → voce del coro), ma prima faccio un'altra premessa: per l'occasione ritornano le gif e i meme con Tina. Da buona amante del trash, mi sa che questo è un buon momento per utilizzarle.

I protagonisti della storia sono Albus Severus Potter e Scorpius Malfoy che, oltre a finire entrambi a Serpeverde, diventano anche migliori amici. Rose Granger-Weasley entra invece a Grifondoro, e non è un caso che abbia inserito lei come soggetto in un'altra frase separata dai primi due: lei è talmente marginale che sì appare, ma non è affatto presente nella storia in sé. Il tutto ruota attorno a un viaggio nel tempo compiuto grazie a una Giratempo (e la prima domanda è: non erano state tutte distrutte?) per riuscire a salvare Cedric Diggory, impedendone la morte. A questo viaggio se ne aggiungeranno altri per poter rimediare agli errori commessi nel primo, causando tuttavia altri danni sempre più disastrosi, e ci vengono così presentate varie situazioni a seconda di ciò che viene cambiato nel passato e nel modo in cui ciò è mutato.

Ammetto che, a mano a mano che proseguivo nella lettura, la voce di Emmett Brown di non cambiare il corso degli eventi si faceva sentire sempre di più nella mia testa, e credo che una padellata in testa ai due Doc l'avrebbe data, e forse non solo una.
Meriterebbero il “premio nobbile” per il nonsense delle loro azioni, sul serio. E altre padellate, o magari il piombo dei libici – chi conosce Ritorno al futuro sa.

Il tempo della storia – al di là dei viaggi nel tempo – è abbastanza ampio, visto che le vicende narrate non durano un unico anno ad Hogwarts dei protagonisti (a differenza di come siamo stati abituati nei sette libri della saga), mentre il tempo del racconto è più breve rispetto al primo e sicuramente una ragione deriva dal fatto che si parla di un'opera teatrale, ma durante la lettura il senso di disorientamento è abbastanza comprensibile.
Gli eventi si succedono con una velocità tale che non ci permette di concentrarci né sulla storia in sé – visto che più si è dentro la storia (ma si può entrare in una storia che tutto sommato non ha nulla e la cui trama zoppica?) e più diventano grandi le lettere che dicono WTF – né sui loro personaggi, la loro caratterizzazione e le motivazioni che li spingono a comportarsi in una data maniera.

I personaggi sono un tasto davvero dolente e paiono degli emeriti pali nel culo (è l'unico modo per poterlo dire rendendo bene l'immagine), senza considerare il loro modo di comportarsi che non ha giustificazione alcuna.
Immaginate Harry, che non ha mai conosciuto i suoi genitori e potuto godere del loro affetto, avere degli scatti da pessimo padre che si mette a dire ad Albus “alle volte non vorrei essere tuo padre” oppure dire a una certa persona “sarai per sempre un'orfana”.
Harry, hai battuto la testa da qualche parte e sei diventato un idiota patentato (l'adolescenza l'hai passata da un pezzo) oppure sei stato mosso come personaggio da persone che ti hanno reso OOC allo stato patologico?

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E tu, Albus, tuo padre ti regala l'unico oggetto che ha come ricordo di sua madre, e cosa fai? Gli inveisci contro?

Si capisce lontano un miglio che sei stato dipinto come l'anti-Harry, ma la stronzaggine che hai è davvero incommensurabile.

Con Albus si crea il gioco degli opposti rispetto a Harry: finisce a Serpeverde, non sa giocare a Quidditch, e fa amicizia con Scorpius Malfoy, laddove i padri non si potevano proprio sopportare. Di per contro, Scorpius appare la copia mal riuscita di Ron, perché tra i due è quello più spiritoso; le battute di Ron sono memorabili, ma Scorpius non è all'altezza dello spirito di Ron, con la conseguenza che la sua caratterizzazione sia più blanda che mai.

Posso capire che si è cercato di dare l'input per Albus che l'avere un cognome importante (oltre che due nomi belli pesanti sulle spalle – qui si va sul pesante, come direbbe Marty McFly) ed essere il figlio di Harry Potter non deve essere affatto facile, portandolo anche a ribellarsi e a essere in forte disaccordo col padre – è adolescente, è abbastanza plausibile – ma nel personaggio di Albus si legge un odio che non viene motivato davvero, e le ragioni che vengono lasciate intendere restano troppo superficiali, non permettendo di avere un personaggio ben costruito.
E quindi io devo dire una cosa:

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Parlando del rapporto che hanno Albus e Scorpius mi sorge un dubbio che sintetizzo in una domanda: si tratta di queerbaiting che strizza l'occhio alla Draco/Harry o un calco dell'amicizia tra James e Sirius (che proveniva da una famiglia di altolocati snob)? Ciò non toglie che, in entrambi i casi, sia fanservice, ma fatto male, specie nel secondo caso, perché se da un lato la motivazione dei Black – per come erano i membri della famiglia – di ostracizzare i comportamenti di Sirius aveva senso (per quanto non reputi condivisibili nessuno dei loro motivi), Rose che si mette a dire ad Albus di non parlare con Scorpius perché “è quello là” mi è a dir poco ridicolo. La figlia di Hermione, la stessa persona che si batteva per i diritti degli elfi domestici che ragionava con la propria testa, si mette a dire una cosa del genere? È assolutamente insensato.

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Altro fanservice che rimanda alle ship fanon (il contrario di canon) lo abbiamo quando Draco dice una frase che suona così: “potrebbe farmi piacere prendere ordini da Hermione Granger.”

Che dire? In tutt'onestà, parlando di ship nel mondo di Harry Potter, ne avevo una sola ed è naufragata miseramente (parlo di Neville e Luna, una gioia mai per me), ma ho sempre immaginato Hermione né con Ron, né con Harry, né con Draco, ma con qualcun altro conosciuto in età adulta, magari nemmeno del mondo magico, ma che è appassionato di magia e che quindi non le affibbia etichette, che la apprezzi per quello che è, rispettandola… insomma, avevo questo headcanon che tale è rimasto.

Questa battuta di Draco che rimanda alla Dramione mi ha urtata parecchio perché – al di là della ship, non è quello il problema, perché non faccio bashing sulle coppie – detta così su due piedi risulta parecchio OOC. Draco non avrebbe mai detto una cosa del genere, non senza una particolare evoluzione del personaggio che qui non abbiamo. Ho letto fanfiction Dramione molto, molto ben concepite, che permettono lo sviluppo della coppia e sicuramente non così.

Ehi, sceneggiatori, è un modo per ammiccare ai fan che amano questo e quello? È un'opera per i fan che possono veder realizzate le cose che il canon non dava? E la credibilità dei personaggi, il loro trascorso, il loro IC, dove li mettiamo?
Non devo dire poi che ci troviamo davanti una fyccina?

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Vorrei soffermarmi un attimino a parlare di Hermione. Non ho mai nascosto che si tratti di un personaggio in cui non mi immedesimo, ma mi è venuto un mancamento per come è stata trattata in questa pièce. No, non mi riferisco alla carnagione dell'attrice che la interpreta – a teatro le cose funzionano diversamente che al cinema, tra le altre cose – quanto più alla sua persona. Per me non è uno spoiler, perché questo personaggio compare nello spettacolo, quindi si capisce che a causa dei viaggi temporali non muore,  ma lo segnalo ugualmente.

Con Cedric salvo, Hermione non si sposa con Ron, ma non diventa nemmeno Ministra della Magia? Ma siamo seri? Ho avuto modo di dire qui perché e percome non mi piaccia Hermione, ma ho sempre pensato che fosse un personaggio che non ha mai avuto bisogno di un uomo affianco per esser realizzata e felice. E senza Ron me la fate diventare un'insegnante acidona e zitella, frustrata al massimo?

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Intanto Ron – nell'universo alternativo – viene accoppiato a Padma. Ma dico io, manco a Lavanda, che era già forse più plausibile?

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E qui parliamo del giovanotto citato su: Cedric che diventa un Mangiamorte? Sì, e io sono bionda platino allora!

Cedric era quel ragazzo che voleva rigiocare la partita in cui Harry era caduto perché non la considerava valida e che difendeva Harry dagli attacchi che subiva; com'è possibile che per una figura barbina egli diventi Mangiamorte e uccida Neville? Una pubblica umiliazione è davvero un motivo così valido da permettere un cambiamento così marcato? Doveva esserci il riscatto dei Tassorosso in quest'opera: io non l'ho visto.

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Ritornando al discorso della certa persona che ho citato prima, inseriamo dapprima questo brano per creare suspense; ascoltiamola, facciamo un bel respiro profondo, e preparatevi a questo spoiler che spoiler non è se avevate già letto i fatti anzitempo. Se non volete saperlo, saltate direttamente alle parole che vedrete sotto l'altra Tina; non dite che non vi ho avvisati.

La voce che vede confermata la presenza della figlia di Voldemort è vera, è tutta vera. A tal proposito, inseriamo anche questo pezzo, ché male non fa. La sua identità è scontata, si capisce dalla prima apparizione in scena del personaggio, ma non è nemmeno quello a lasciare perplessi (anche se ho un dubbio che vi proporrò subito dopo), quanto più le motivazioni che lei ha per voler interagire con Voldemort ovvero “per poterlo conoscere”.

Ma qui io dovrei piangere? Dovrei commuovermi? A me vien solo da dire: ma ti sembra una ragione sufficiente per sminchiare così tutto il mondo come lo si conosce? Che razza di villain sei? Sì, quello di una fyccina che viene messo a caso e compie azioni completamente prive di fondamento.

E qui mi chiedo alcune cose, rimettendomi anche nelle vostre mani che ne saprete senz'altro più di me.

Voldemort poteva fare sesso? La sua anima è stata divisa in sette horcrux, ma aveva un pene funzionante? Il suo corpo era stato ricavato da un rituale oscuro, ma non mi pare fosse sanissimo: era emaciato, occhi rossi spiritati senza naso, e se non abbondava di naso...? Può essere possibile nell'universo di Harry Potter una cosa del genere, ovvero un'anima completamente dissociata dal corpo che invece espleta del tutto funzioni fisiologiche come le persone dotate di anima? È mai stato spiegato (magari a me sfugge)? Per quanto sia stato dichiarato che non avesse mai amato nessuno l'amore non è condizione necessaria per far sesso, quindi l'ipotesi sesso ed erede sipotrebbe ancora reggere, un poco.

Facendo dei conti, Delphi è stata concepita prima degli avvenimenti del settimo libro; se mettiamo l'ipotesi che il tutto sia avvenuto durante il sesto, Harry avrebbe potuto sapere sin da quando era giovane se non della sua presenza del fatto che Voldemort volesse generare un erede?

Lui era legato a Voldemort e nel momento in cui l'uno provava emozioni forti e intense, l'altro le poteva percepire, e viceversa. Considerando anche l'ipotesi che l'esperienza del sesso in sé non sia stata piacevole per Voldemort – ma nella mia testa per Bellatrix è stato il contrario – alla fine ci sia stato comunque un orgasmo e ciò che deriva da esso è sempre un'emozione intensa, liberatoria.

Ritengo che (come mi è stato fatto notare dalla mia patatina) pensando anche a una serie di avvenimenti atti a camuffare quel determinato momento – il concepimento – come per esempio l'attacco di Nagini nei confronti di Arthur, per quanto Harry abbia avvertito questa sequenza di immagini, un'emozione così forte come l'orgasmo l'avrebbe sentita lo stesso. Forse. Oppure no? Oppure Voldemort ha usato l'occlumanzia per non far sapere a Harry della progenie? O Delphi è nata con una fecondazione magica? Perché si devono inserire cose e personaggi senza spiegarli per bene?

Delphi dice di esser stata cresciuta da Rodolphus Lestrange che, con tutto che è stato cornuto e mazziato, potrebbe aver scelto di accudire la figlia del suo Signore, perché fedele a lui, ma – nel caso in cui non sia morto dopo l'ultima battaglia – come è riuscito a scappare da Azkaban? Chi lo ha aiutato? Come minimo sarà stato imprigionato perché non credo che avrebbero lasciato a piede libero un Mangiamorte come lui, e forse era anche in una sezione di massima sicurezza. Non sappiamo se ad Azkaban ci siano ancora di Dissennatori, ma questo tipo è pericoloso, signori miei, non deve essere a piede libero!
Perché si devono inserire cose e avvenimenti senza spiegarli per bene?

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I gesti plateali di Tina non lasciano dubbi sulla mia indignazione, ma andiamo avanti.

Alcune di queste cose che dirò sono dei dubbi che ho e ben venga se mi aiutate a capire.

Perché si usa la Pozione Polisucco per cambiare le fattezze umane se si ha disponibile un incantesimo di trasfigurazione che permette di prendere le sembianze degli esseri umani? È stato “inventato” dopo ovvero post canon delle vicende dei libri? Era vietato nel passato ed è stato da poco reintrodotto? Avrebbe potuto fare la differenza nelle battaglie magiche del passato e, per quanto potesse essere illegale, non credo che per esempio i Mangiamorte si sarebbero fatti degli scrupoli nel suo uso, quindi credo che sia stata un'invenzione per lo spettacolo, ma inserito così è… meh. È l'unica parola che rende bene.

Che sia anche questo uno stratagemma (come la giratempo e tante altre cose che avrete potuto notare meglio di me) per rimandare alla vecchia saga per i nostalgici fan? Sarà che anche l'inserimento di personaggi defunti mi sa tanto di metodo per far scappare la lacrimuccia alla gente. Se solo fossero ben contestualizzati, allora sì che ci si potrebbe emozionare!

Sempre sul filone “facciamo provare a far venire il piantuccio ai fan nostalgici” – che altro non è che fanservice – , ci ritroviamo nel 1981, e Harry è costretto a rivivere l'omicidio dei suoi (era davvero necessario?), e abbiamo Hagrid solo a casa di Lily e James… ma non c'era anche Sirius lì visto che ha dato ad Hagrid la moto nel mentre che lui andava a cercare Codaliscia per vendicarsi? Perché c'è solo Hagrid? Andiamo a “Chi l'ha visto?”, ché forse nello studio sanno qualcosa che a me è sfuggito.

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Ritroviamo anche un Silente che per la prima volta in vita sua riesce a essere esplicito in un discorso, e non solo, di una banalità palese. Il mago nelle sue parole, nei suoi commenti è sempre stato molto criptico, e l'alone di mistero in gesti e parole è stato un tratto distintivo di questo personaggio, quindi non solo ritorna per l'effetto lacrimuccia, ma il suo dialogo è quanto di più melenso e pieno di cliché che non si può.

Faccio un respiro profondo ed espiro, lasciando la questione più spinosa – per me – alla fine.

Anche la comparsa di Piton reca un'insegna luminosa con su scritto “fanservice” (in che modo i cambiamenti compiuti dai due premi Nobel hanno permesso a Piton di vivere? Mistero), ma qui ci viene presentato davvero come il santo a cui urlano i fanminkia. Allora, non si può negare che sia di certo un bel personaggio, con le sue debolezze e le sue scelte discutibili, ma non è che perché amasse Lily questo suo amore lo renda necessariamente un buono.
Il suo amore è sempre sciocco e infantile, perché lui ama il ricordo della ragazza, non lei. È sempre stato colui che terrorizzava i propri studenti ed è sempre stato quello che per salvare Lily non avrebbe esitato a sacrificare sia Harry sia James. Il fatto che poi sia andato dall'altro lato della barricata contro Voldemort non pregiudica il fatto che le sue scelte siano state compiute dal senso di colpa, ma non è che si sia sempre comportato bene, anche nei confronti di Harry, in cui vedeva sempre l'ombra di James, e Lily era in lui (per Piton) se non negli occhi. Se agisci per il bene, certi atteggiamenti non sono consoni, non devono proprio esserci. Se ti unisci all'Ordine non per fare la cosa giusta, non perché concordi con gli ideali dell'Ordine, non per essere coraggioso, ma per vendicarti e uccidere chi ha ucciso la "tua" amata, non fai quelle cose per il bene superiore. Non sei un eroe.

Cito: Snape looks at him, every inch a hero, he softly smiles.

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Respira, Barbara, e lentamente espira. *Seguono una serie di improperi che non vengono riportati*

Posso dire di essere delusa da questa lettura; io non sapevo nulla degli spoiler che erano già noti ai fan e ai miei amici, quindi mi ci sono approcciata con tutta la calma e la curiosità pensando “magari sarà una bella lettura anche per me che non ne sono appassionata”.
Sono stata una povera illusa, lo ammetto, ma ci ho creduto e sperato.
Se questo doveva essere un modo per far approcciare le nuove generazioni (magari già quella dopo la mia) alla saga mandando degli hint a quella principale, lo dico: è un fallimento su tutta la linea.
Con tutto che questa non sia la saga con cui sono cresciuta e che mi ha rubato il cuore, riconosco il valore e l'impatto che essa ha avuto su delle generazioni intere, permettendo a tanti ragazzi di avvicinarsi alla lettura, a fare viaggi con la fantasia, a sentirsi parte di un universo che fa sognare, e se mi sento io presa per il culo, non oso pensare a quanto rammarico possa avere in corpo chi invece ha sempre sentito Hogwarts casa propria, sebbene possa provare a immaginarlo.

Tornare indietro nel tempo – laddove un messaggio chiave della saga era andare avanti – è stata una pessima mossa per dimostrare che non si è affatto andati avanti, riciclando idee, personaggi e contesti volti a rendere ancora più malinconici chi ancora non si capacita della parola fine messa nell'ultimo libro.
Che si ritorni dunque al principio, dove tutto è iniziato, da Harry Potter e la pietra filosofale, e santo sia il fanwriting, perché contrariamente a quanto si possa pensare, se messo in mano a persone capaci di creare trame coerenti e coese, dà storie di gran lunga migliori di queste.

lunedì 1 agosto 2016

Opere: come mi approccio a esse, come ne parlo e come le recensisco

Dato che ho notato nuovi iscritti sia sul canale sia sul blog (cosa per cui non ringrazierò mai abbastanza), ho pensato potesse essere un’idea carina dire delle cose che spesso potrei dare per scontate, ma se nuove persone si avvicinano a me e alle mie idee, potrebbe essere che tanto ovvie non siano.

Quindi, come dice il titolo stesso, vorrei parlarvi di come io ho a che fare con libri, fumetti, film, serie TV e chi più ne ha ne metta e di come poi io desidero parlarne, cosa che faccio anche su questa piattaforma.

Bene, iniziamo!

Mi risulta molto più facile scrivere in un blog che non parlare sul canale.

È la prima cosa che voglio dire (o nel caso ripetere).
La ragione è semplice: la comunicazione scritta mi è molto più congeniale; amo scrivere, e quando lo faccio riesco a ordinare meglio i pensieri rispetto a quanto farei parlando. Con questo non dico di non saper parlare a voce alta; credo di avere una buona proprietà di linguaggio per esprimere i contenuti con la forma che ritengo più adatta al momento, visto che non tutto si può e deve esprimere con lo stesso tipo di lessico. Ho un temperamento abbastanza focoso e fumantino, e quando parlo mi infiammo particolarmente, sia per quello che dico, sia per la forza e la convinzione del mio ragionamento, il che mi porta a scaldarmi; al contrario, quando scrivo, mi rilasso, lasciando emergere la parte più tranquilla e razionale. Quanto ho appena detto non implica tra le righe che mi metta a offendere a destra e manca quando parlo, affatto, ma ammetto che il mio carattere non è per nulla arrendevole e calmo.

Considerando il fatto di non avere una videocamera come si deve, il microfono di fortuna che utilizzavo distorceva parecchio la mia voce, e se la rendeva sgradevole a me in primis non oso immaginare quanto potesse dar fastidio a voi. Sì, è pur vero che tendo a essere molto autocritica, ma sono particolarmente fissata sulle voci e la mia, nel parlato senza registrazioni, è molto più gradevole.

Tutto ciò che nasce dalla fantasia per me è un'opera di fantasia.

Quando parlo di opera, in questo caso, mi riferisco a tutto ciò che viene prodotto dalla fantasia umana. Se poi si tratti di un’opera di buona qualità o pessima, questo è un discorso che esula da quello che dico in questo momento. Con “opera” non intendo il “capolavoro”, per intendersi. Credo che sia una questione importante, perché l’equivoco è sempre dietro l’angolo.

Non mi ritengo una guru e quello che dico non è una verità universale.

Penso sia ovvio, ma talmente ovvio che occorre ripeterlo: mi rendo conto che più le cose possono essere per me scontate, più per qualcun altro potrebbe non esserlo. Quello che dico sono sempre sproloqui derivati dal mio approccio a un’opera, assieme ai miei ragionamenti derivati dalla stessa e dalle informazioni che ricavo leggendo oltre a quelli derivati dagli approfondimenti per conto mio e dalle mie esperienze. Tutto questo concorre a darmi un’idea – credo – ampia di ciò che poi voglio condividere, esponendo tutto quello che ho da dire. Non la si deve pensare per forza come me, ci mancherebbe!

Fa piacere se qualcuno concorda, ma fa molto più piacere se pur non concordando si crea uno scambio di idee pacifico e costruttivo. Non è una cosa strana, accade davvero.

Quando dico qualcosa in una recensione non voglio convincere nessuno a pensarla come me su un libro/film/serie, come anche quando parlo di questioni più serie, ma nel caso in cui mi ritrovi davanti a delle immani e oggettive porcate che non stanno né in cielo né in terra dette dalle persone allora mi arrabbio, specie se parlo di faccende importanti, come le mie considerazioni sul femminismo o sulle questioni mediche.

Potete dirmi senza problemi che amate Harry Potter e non dico nulla con tutto che io lo detesto, ma se dite che una donna si è meritata di esser stuprata per via del suo abbigliamento allora vi stacco la testa a morsi, tanto per capirsi.

In virtù di cui sopra quello che io pretendo è il rispetto: come io lo do, allo stesso modo mi aspetto di riceverlo e se non perviene non esiste che io abbia un dialogo con chi non mi rispetta.

Motivo sempre quello che dico e dapprima mi informo.

Una cosa che non mi appartiene è l’odio a pelle, allo stesso modo la simpatia a pelle: qualunque sia una sensazione viscerale da me provata, sento la necessità di trovare razionalmente una ragione a quello che ho sentito, confermando o eventualmente smentendo la prima impressione. Sono sempre riuscita in questa cosa, ed è una piccola fonte di orgoglio personale, in tutt'onestà.

Amo conoscere, e sono di natura una persona molto curiosa e quando non so qualcosa cerco sempre di informarmi, cercando fonti affidabili, dato che la cattiva informazione – per certi versi più dannosa della disinformazione, anche se per me anche questa non ha ragione d'essere e non vale il “se non mi interessa non mi informo” perché se non ti informi non puoi dire se una cosa ti interessa o meno – è un cancro.

E no, non mi scuso per aver usato la parola cancro, lo dico con cognizione di causa: l'ignoranza mette radici come le cellule tumorali, può attecchire a largo spettro anche in lidi diversi rispetto a quelle in cui era nata e le conseguenze possono essere devastanti, addirittura mortali, basta pensare a tutto quello che succede nel mondo, se proprio vogliamo restare nella nostra realtà più prossima.

Non accadrà mai che io affermi qualcosa senza dare la motivazione di quanto dico, e questa sarà quanto più oggettiva possibile, oltre che informata.

Quando, per esempio, “conosco” uno scrittore nuovo cerco sempre di saperne di più, non mi limito a leggere il libro e vedere cosa mi lascia; quello è solo una parte del tutto.
Una massima di Harlan Ellison esplica chiaramente quello che voglio dire e lascio dire a lui tutto, perché non servono altre parole: “Non hai diritto alla tua opinione. Hai diritto alla tua opinione informata. Nessuno ha il diritto di essere ignorante.”

Ne ho fatto la mia filosofia di vita.

Quando mi informo su qualcosa non chiedo informazioni agli altri, ma solo le loro impressioni.

Questa è una cosa che mi riservo di fare successivamente, ovvero la ricerca di informazioni. Quello che mi piace sapere sono i pareri delle persone, mentre la curiosità di sapere di cosa si tratta X o di cosa parla deve venire da me. Se per esempio uno dei miei amici su faccialibro sta leggendo il libro X, vado su internet e mi cerco di cosa parla, almeno per ciò che concerne la trama. Non mi va proprio di pesare sulle persone e sono parecchio orgogliosa, quindi faccio da me. Allo stesso modo non mi piace fare il riassunto; trovo che sia pigrizia. La trama si può ricercare senza problemi sul web, a me piacerebbe parlare di altro, ovvero di cosa mi sta piacendo e cosa non mi sta piacendo. Quando si cerca una trama online è facile incappare negli spoiler; personalmente a me non danno fastidio perché un conto è sapere la cosa quando ti ci informi, un conto è arrivare alla scena “incriminata” quando leggi un libro o vedi qualcosa, con le tue emozioni e le tue sensazioni. Non perdo la voglia di procedere per conto mio anche se so cosa accadrà. Ma questa sono io, quindi quello che dico, come sempre, del resto, vale uno, e non pretendo certo che si faccia obbligatoriamente come dico io, non lo penso nemmeno lontanamente!

Parlando di spoiler quando ci si informa credo però che possano esser facilmente evitati: se vado su Wikipedia è normale trovare il mondo lì sopra, dato che essendo nata come enciclopedia ha uno scopo divulgativo e deve essere completa; se vado su siti dove si possono acquistare libri o altro non si trova lo spoiler.

Per rispetto degli altri, persino nelle recensioni tendo a non fare spoiler; in caso fosse necessario per dire qualcosa lo segnalo preventivamente; quello che ora vi chiedo, a tal proposito, è: cosa considerate spoiler? Come lo considerate anche rispetto a opere di uscita non recente?

Consiglio sempre tutto, anche le opere che non mi sono piaciute.

E vi dirò di più: consiglio soprattutto quello che non ho gradito.

Qui potreste dire “ma che stai dicendo?”, eppure è ciò che penso. Sono del parere che per avere un pensiero su qualcosa è necessario averci a che fare di persona e se io dico che quel libro è bello, mi ha lasciato indifferente/perplessa o mi ha fatto schifo, a parte motivare il tutto con tutta l’oggettività che mi è propria e che mi è possibile avere, dico comunque “te lo consiglio”. Questo deriva dal fatto che spesso si apprezza o meno qualcosa anche per fattori soggettivi e io non me la sento proprio di dire “non ho amato questo, questo e quest’altro e quindi dico no per tutti”; io non so se all’altra persona che mi legge/ascolta può invece piacere quello che non ho gradito io.

Per quanto possa conoscere qualcuno e sapere anche i suoi gusti, reputo il toccare con mano qualcosa sempre la cosa migliore, perché – faccio un esempio – se una persona in quel momento cerca una lettura per nulla impegnata e impegnativa e le va bene anche una ciofeca che a me ha fatto letteralmente cacare (ops, ne parliamo al prossimo punto) potrei impedirle di dilettarsi un attimo e di trovare l’evasione che cerca (ne parliamo tra due punti).

Con questo non dico che chi si fida del parere di qualcuno che conosce i gusti dell’altro faccia bene o male a non voler constatare di persona, ognuno è libero di fare come meglio ritiene opportuno, anche parlando di come investire il proprio tempo, ma per onestà intellettuale e per restare coerente con me stessa, dirò sempre cosa mi è piaciuto, cosa no, cosa ho amato, cosa ho odiato, cosa mi ha lasciato indifferente, aggiungendo il “ve lo consiglio sempre e comunque”.

Rivendico il diritto di dire che se una cosa mi fa schifo... mi fa schifo e basta, senza giri di parole.

Ritengo che le emozioni e i loro spettri siano tanti (direi vasti, per la precisione) e se amiamo un qualcosa con tutto il cuore, allo stesso modo possiamo odiare – non sono una buonista, quindi per me l'odio è possibile e reale – qualcosa, quindi se ci piace qualcosa con l’intensità di mille soli allora si può schifare nella stessa ed esatta maniera.
Per me l’indifferenza è la cosa peggiore perché vuol dire che la determinata opera non è riuscita nemmeno a fare breccia nel cuore e nella mente di chi ci si approccia alla stessa.
Dire che una cosa “fa schifo” non è un’offesa verso chi ha prodotto la tale opera (anche se ritengo che l’autore abbia offeso chi la legge/vede, ma dipende da quanto e quale sia lo schifo) e non è una cosa maleducata da dire: non si sta offendendo nessuno.
Se io dico “le cinquanta fognature mi fanno cacare a spruzzo” – va bene, ho sparato sulla croce rossa, mi rendo conto – non è che io dico “la James è una troia”; sono due cose totalmente diverse. La prima è legittima, la seconda no, perché offendi la persona che a parte aver scritto una merdata cosmica a te non ha fatto nulla: non ti ha rubato nulla non pagando le tasse, non ha ucciso nessuno, ecc.
Per questo dico che voglio rivendicare il diritto a dire che qualcosa fa schifo, e allo stesso modo tutti. Purché lo schifo sia motivato. E beh, sarebbe troppo facile altrimenti.

Con me ognuno ha il diritto di leggere ciò che gli pare e non sarà schifato come persona per quello che legge.

Abbiamo gusti diversi, questo è risaputo, e aggiungo che abbiamo tutti esigenze diverse, come anche tutto il tempo davanti per cambiare ‒ eventualmente ‒ le nostre preferenze. Parlando di esigenze mi riferisco al voler, in un determinato momento, di leggere una data cosa. Per esempio, in estate mi piace leggere maggiormente la saggistica dato che mettendo da parte gli studi un attimo posso concentrarmi su qualcosa di più impegnativo, e allo stesso modo si possono leggere libri meno impegnativi proprio per sentire la leggerezza da vivere in vacanza. Tutto ciò non è affatto un problema per me.
Ciò che a me dà fastidio è la soggettività che non permette di essere oggettivi, cosa di cui ho parlato qui, qui e qui.

Lascio passare del tempo (spesso parecchio) rispetto all'uscita di un’opera per avvicinarmi a essa.

Non mi approccio a qualcosa quando va di “moda” e non perché voglia fare l'alternativa a qualcosa – alternativa di che, poi, visto che ormai l'unica cosa davvero alternativa per quel che mi riguarda è essere se stessi – ma perché voglio evitare la febbre di quel determinato prodotto. Per febbre intendo proprio l'entusiasmo – che sfocia in delirio più di quanto non si pensi – che spesso non solo è eccessivo, ma tende a dar fastidio alle persone se hanno da ridire in modo oggettivo sulle cose, nella fattispecie me.

Non è il prodotto in sé che scanso, quanto più la fanbase, essenzialmente per due motivi. Se mi si dice di leggere/vedere/approcciarmi a qualcosa con insistenza, si può star sicuri che eviterò la data cosa con slancio perché più mi si dice di fare qualcosa e più non la faccio a prescindere. La ragione, però, non è solo questa. Avendo avuto molto a che fare col dilagante disagio delle persone, nel momento in cui mi avvicino a qualcosa preferisco che passi del tempo rispetto a quando la maggior parte delle persone attorno a me leggono/vedono questo o quello. Non è per cattiveria, ma voglio semplicemente essere serena quando mi diletto con le mie passioni; ho già tante preoccupazioni nel mio quotidiano, quindi evito quanto più possibile la gggente che gggenteggia, per capirsi.

Lo stesso vale quando sono invitata a dire la mia e con tutto che sono educata e motivo ciò che dico mi si attacca. Grazie, ma no, grazie.

Quando la febbre passa, ecco che io mi avvicino alla cosa. Non è un mistero che io abbia letto per esempio L’ombra del vento solo lo scorso anno (non appena sarò meno “impicciata” ve ne vorrei parlare come si deve), per esempio. Nel caso in cui aspetto invece con trepidante attesa qualcosa, allora tutto questo non lo considero in parte ovvero sto solo attenta a non avere a che fare con la gggente.

Credo di aver detto tutto, mi sa. O forse no; per il momento mi pare di sì, però potrei sbagliarmi. Nel caso in cui abbia dimenticato qualcosa, mi riserverò di aggiungerlo.

E voi, come vi approcciate a un’opera?